Il Portale di Tursi

Per noi genovesi Tursi è il palazzo del Comune. In realtà la sua prima intitolazione fu Palazzo Nicolò Grimaldi.

L’edificio venne realizzato su progetto dei fratelli, Giovanni e Domenico, Ponzello.

Dai Grimaldi la proprietà passò di mano a Giovanni Andrea Doria e poi al figlio Carlo, duca di Tursi, a cui si deve l’odierna intestazione.

Il cinquecentesco palazzo, il più esteso di tutta via Garibaldi fu sede, a fine ‘700, della corte di Maria Teresa di Parma e per un decennio del collegio dei Gesuiti (1838-48).

Costoro stravolsero gli interni originali cancellando parecchi affreschi e decorazioni “blasfeme”, demolirono o spostarono molte opere d’arte.

Dopo la dominazione sabauda finalmente nel 1848 il palazzo fu donato al Comune di Genova.

Il sontuoso portale di impianto classico presenta colonne doriche, fornice arcuato, con sull’antico trofei e statue a coronamento dello stemma cittadino che riporta anche la testa di Giano sia alla base che al vertice, sotto la corona.

Al centro un mascherone ghignante con orecchie di satiro che in origine reggeva le insegne dei Grimaldi.

Gli altri vistosi mascheroni che ornano le finestre del piano rialzato sono invece opera di Taddeo Carlone e si ripetono anche nei prospetti laterali affacciati sui giardini.

La Geande Bellezza…

In copertina: lo stemma del portale di Palazzo Tursi.

Il Barchile di Enea

Nel bel mezzo di Piazza Bandiera in zona della Nunziata, accerchiato dalle automobili, si trova il barchile di Enea.

Il monumento, in origine un semplice barchile con fontana abbellito da una sinuosa sirena, fu realizzato nel 1578 da Taddeo Carlone.

La sua primitiva collocazione era al centro di Piazza Soziglia nel cuore macelli.

Da qui, in seguito alle proteste degli abitanti che lo ritenevano troppo ingombrante, venne trasferito in Piazza Lavagna.

Purtroppo nel frattempo la sirena era stata danneggiata dalle sassate dei monelli del quartiere che la utilizzavano come bersaglio e quindi, poiché mutila in più parti, ricoverata in un magazzino in attesa di essere restaurata.

Ma non finisce qui perché nel 1844 la fontana venne nuovamente spostata, priva della sirena, in Piazza del Fossatello.

Intanto – facciamo un piccolo passo indietro – nel 1726 venne incaricato il celebre scultore carrarese Francesco Baratta di realizzare la splendida composizione intitolata la “Fuga di Enea da Troia”.

“Primo piano del complesso marmoreo della Fuga di Enea da Troia”. Foto di Leti Gagge.

L’artista nella sua scultura celebra uno dei momenti più alti della cultura occidentale rappresentando la commovente scena in cui Enea, che ha perso tutto, è costretto ad abbandonare la città con quanto di più prezioso gli è rimasto, ovvero il figlio Ascanio aggrappato alle braccia e il vecchio padre Anchise caricato sulle spalle.

Le mani dei protagonisti convergono sul palladio, simulacro della dea Pallade Atena che, secondo la tradizione, Enea avrebbe portato a Roma.

Le peregrinazioni della fontana di Enea e famiglia terminarono nel 1870 quando il gruppo marmoreo venne spostato definitivamente nella locazione odierna in Piazza Bandiera dove in precedenza si era insediato il nuovo mercato di frutta e verdura.

“Il barchile di Enea”. Foto di Leti Gagge.

Le Statue dei due Condottieri…

Nel giugno 1797 il  fallace vento libertario della Rivoluzione francese era giunto anche a Genova ponendo fine alla gloriosa Repubblica marinara per far posto all’effimera Repubblica “Popolare”.

Fu così che il popolo, in preda alla furia distruttrice, rinnegò i simboli della secolare oligarchia  nobiliare, cancellando ogni traccia dell’odiata aristocrazia.

“Statua di Andrea Doria opera di Angelo Montorsoli”.

Vennero soppressi tutti i titoli regali, feudali e nobiliari con conseguente abolizione di stemmi, insegne e di tutta la simbologia araldica. A causa di questa scellerata disposizione vennero deturpati palazzi e chiese in tutta la Liguria cancellando numerose tracce d’arte e di storia della nostra cultura.

I facinorosi distrussero il libro d’oro della nobiltà, il prezioso registro dei patrizi genovesi, bruciandolo in Piazza Acquaverde sotto uno dei tanti alberi della libertà issati per celebrare la presunta ritrovata autonomia e, soprattutto, la tanto agognata emancipazione. Persino il leggendario Vessillo di San Giorgio subì in quei sciagurati giorni il medesimo nefasto destino. Quello che non erano riusciti a fare nemici d’ogni sorta nel corso dei secoli, fecero i genovesi in pochi giorni.

Come racconta un testimone del tempo non vennero risparmiate nemmeno le statue di Andrea e Giovanni Andrea Doria a poste a protezione dell’ingresso di Palazzo Ducale, da poco per l’occasione, ribattezzato Palazzo Nazionale.

“Al dopo pranzo… in Palazzo si volevano atterrare le statue dei due Doria. Non bastò ad evitarlo né l’intervento del colonnello Menici, né quello del comandante Siri. A forza di funi furono gettate a terra, e rotte, e cancellate le iscrizioni…”

Le teste mozzate dai busti e parti delle gambe furono trascinate e poste a basamento dell’albero della libertà predisposto davanti al novello (nel nome) Palazzo Nazionale.

La folla non contenta pretese anche gli abbigliamenti da cerimonia del Doge, abiti, gioielli e oggetti dall’incommensurabile valore storico: la portantina, l’urna del seminario (il marchingegno utilizzato per l’estrazione semestrale dei magistrati), troni, arredi e simboli saccheggiati dalla sala del Minor Consiglio.

La sera stessa dei tumultuosi avvenimenti Napoleone venne informato dell’accaduto dal Faipoult, suo rappresentante in città e, nonostante la comprensibile soddisfazione per l’ardore rivoluzionario dimostrato ai suoi futuri sudditi, rimase sinceramente dispiaciuto e scrisse una lettera di biasimo al governo provvisorio:

“Citoyens, j’apprende avec le plus grand  déplaisir que dans un moment de chaleur l’on a renversé l statue d’André Doria. André Doria fut grnd marin, et homme d’état; l’aristocratie était la liberté de son temps. L’Europe entière envie à votre ville le précieux avantage d’avoir donné le jour à cet homme célèbre. Vous vous empresserez, je n’en doute pas, à relever sa statue. Je vous prie de vouloir m’enscrire pour supporter une partie des Frais que cela occasionnerà, et que je désire partager avec les citoyens les plus zelés pour la gloire et pour le bonheur de votre patrie. Je vous prie de me croire avec les sentiments de consideration avec lesqueis, je suis, Bonaparte”.

“Statua di Giovanni Andrea Doria opera di Taddeo Carlone”.

Il Faipoult stesso e Luigi Crovetto, membro di spicco del nuovo governo, riuscirono a dissuadere con pragmatiche motivazioni politiche (troppo difficile dissociare i Doria dal regime aristocratico nella mente ormai invasata dei genovesi) Napoleone dal suo nobile proposito e l’argomento delle statue finì nel dimenticatoio.

La statua di Andrea era stata scolpita da Angelo Montorsoli, quella di Giovanni Andrea da Taddeo Carlone due straordinari artisti a cui i Doria avevano commissionato opere nella chiesa di San Matteo e nella Villa del Principe.

“L’inaugurazione avvenuta il 22 luglio del 2010 alla presenza dell’allora Sindaco di Genova Marta Vincenzi”. L’immagine rende bene le colossali dimensioni delle sculture”. Foto tratta da Palazzo Ducale.it

Per fortuna alcune parti superstiti sono state salvate, recuperate e alloggiate presso il Museo di S. Agostino. Dal 2010, dopo accurato restauro, sono tornate nella loro casa di Palazzo Ducale dove, collocate sul ballatoio al termine della prima rampa di scale che conduce ai piani superiori, hanno ripreso il loro compito di custodi della nostra storia.