Genova non si può stupire. Stupisce!

Se avrete la pazienza di leggerlo fino in fondo comprenderete perché era davvero Superba e ineguagliabile.
Possono essere utili queste note soprattutto a chi la giudica senza conoscerla.

Nel 2006 i Palazzi dei Rolli sono stati riconosciuti Patrimonio UNESCO dell'Umanità e ad ogni edizione la pubblica amministrazione in collaborazione con le Belle Arti ne apre, proprio per farne conoscere al pubblico il maggior numero possibile, sempre di nuovi. Sparsi un po' ovunque nel centro storico, non per questo sono meno sfarzosi e affascinanti.

Al loro interno custodiscono giardini pensili, statue di marmo di pregio dei più grandi scultori, pinacoteche da museo, soffitti, volte e gallerie affrescate, arredi e ambienti sontuosi.

Scrisse in proposito il francese Jean , raffinato scrittore e grande viaggiatore nel suo “En Italie” (1852) per spiegare l'orgoglio ostentato dal Doge genovese Lercari, convocato a Versailles nel 1685 da per contrattare la pace…

“bisogna aver conosciuto Genova ed aver visitato da cima a fondo i suoi palazzi.
Infatti se i cortigiani di Luigi XIV avevano creduto di stupire il Doge di Genova con lo splendore e la magnificenza di Versailles è perchè ignoravano da quale città provenisse. Se avessero saputo che quel mercante, rappresentante di una città di mercanti, aveva anche lui il suo palazzo di Versailles e che il suo si trovava in una strada che ne era piena, non si sarebbero precipitati a chiedergli “Cosa vi stupisce di più, Monseigneur?”
E di cosa volevate che si stupisse
quell'uomo? Dei vostri palazzi di pietra?
Egli ne aveva uno in marmo! Delle vostre colonne di marmo?
Egli aveva le colonne in porfido! Delle vostre colonne in porfido?
Egli aveva le colonne tempestate in lapislazzuli.
Del vostro architetto Mansart?
Egli aveva come architetti Francesco Falcone, , suo fratello e Carlo Fontana, che aveva innalzato l'obelisco di Roma e aveva costruito scalinate più belle di quelle di Versailles.
Voi avevate delle statue di Coysevox, egli aveva statue di Puget. Lebrun era il pittore del Re, il pittore del Doge si chiamava Paolo Veronese.

Il re faceva dipingere il proprio ritratto da Mignard: il Doge faceva dipingere sua moglie, suo figlio ed il cane da Van Dyck.
Cosa quindi, pur nella magnifica Versailles, poteva stupire lui, il Doge di Genova, la
cui camera era affrescata dall'Aldobrandini, le cui tappezzerie erano disegnate dal Romanelli, che aveva al suo esercizio il Correggio, Tiziano, il Caravaggio?
Di cosa poteva stupirsi quel Re di una  che non comprava a caso i dipinti dei maestri celebri ma che, di padre in figlio, faceva venire in casa i pittori e diceva loro:
“In questo posto mi ci vuole un capolavoro” e che aveva ai suoi ordini il Tintoretto, così come suo nonno aveva avuto Albrecht Durer?
Un uomo che aveva commissionato “La Maddalena” a Paolo Veronese apposta perché coprisse un pezzo di muro della sua casa, di cosa poteva stupirsi?”
I suoi palazzi continuano invece ancora oggi a stupire migliaia di visitatori perché, come annotava nel 1896 Cechov ne “Il Gabbiano”: Genova è la città più bella del mondo”.

Nella foto una piccola ma grande testimonianza dello sfarzo e dell'opulenza genovese: la settecentesca Galleria Dorata del Palazzo di Tobia Pallavicino, noto anche come Cataldi Carrega. Oggi prestigiosa sede della Camera di Commercio di Genova in Via Garibaldi (un tempo Via ) civ. n. 4″.

Ineguagliabile opera di Lorenzo e Diego .
Trionfo dello sfarzo e del Barocco genovese.
Grande Orgoglio e… Grande Bellezza…

“Alla Liguria”…

Sulle tue montagne, nella ruota

di giovinezza, ho costruito una strada,

in alto fra i castagni;

gli sterratori sollevavano macigni

e stanavano vipere a grappoli.

Era l'estate degli usignoli

Meridiani delle terre bianche,

della del fiume Roja.

Scrivevo versi della più oscura

Materia delle cose,

volendo mutare la distruzione,

cercando amore e saggezza

nella solitudine delle tue foglie sole,

e franava la montagna e l'estate.

Anche lungo il mare

Avara in Liguria è la terra,

come misurato è il gesto

di chi nasce sulle pietre

delle sue rive. Ma se Il Ligure

alza una mano,

la muove in segno di giustizia.

Carico della pazienza

di tutto il tempo della sua tristezza.

E sempre il navigatore

spinge lontano il mare

dalle sue case per crescere la terra

al suo passo di figlio delle acque.

“Salvatore Quasimodo”.

 Il poeta siciliano futuro premio Nobel per la letteratura nel 1959 s'innamorò perdutamente della Liguria nel 1930 quando, trasferito al Genio civile di Imperia prima e di Genova poi, ebbe modo di conoscere e frequentare ed , collaborando alla rivista letteraria “Circoli”.

Tre artisti, di cui due premi Nobel e uno Sbarbaro certo non da meno che, da questa terra incrociandosi, trassero feconda ispirazione per influenzare la poesia mondiale del ‘900.

“Corniglia, aggrappata alla roccia, sospesa fra cielo e mare”.

Quasimodo nella sua ultima raccolta ““Dare e avere” 1960 – ‘65” consegna ai posteri una meravigliosa poesia dedicata alla “Liguria”.

In questo componimento il poeta riesce a rievocare l'asprezza della montagna, il sibilo delle vipere, il canto degli usignoli, lo scrosciare delle acque del Roja e, in un continuo crescendo emotivo, l'eterna lotta fra il mare e la terra.

Ma il verso che da sempre mi ha colpito è quel “Ma se il Ligure alza una mano, la muove in segno di giustizia”… e allora sfilano nella mia mente tutte quelle popolazioni liguri che si opposero fieramente all'occupazione della Roma imperiale; i marinai che, sprezzanti del pericolo, difesero le nostre coste dai Turchi e dai Saraceni; i genovesi tutti che, coraggiosi e indomiti, nel 1684 non si piegarono alla boria del Re Sole; il Balilla e la sua audace ribellione contro gli austriaci; i Capitani De Stefanis e Pareto e la loro disperata difesa contro i bersaglieri del La Marmora; Genova intera che nel 1800, oltre ogni umana aspettativa, resistette all'assedio austro piemontese e inglese; i camalli che nel 1924 protestarono contro l'omicidio Matteotti e impedirono alle Camicie Nere l'accesso al porto; i Partigiani che tra l'8 settembre 1943 e l'aprile 1945 contribuirono alla liberazione della Superba, unica caso in Europa nell'era moderna, dai Tedeschi prima dell'ingresso degli alleati; i lavoratori che scioperarono nel giugno 1960 contro la scellerata idea di convocare il congresso nazionale del rinato Partito Fascista in città, contribuendo alla caduta del governo Tambroni.

L'avara Liguria è la mia terra!

Foto di copertina spiaggia di Porto Pidocchio a Framura.

Bomba su bomba…

Fin dai tempi remoti innumerevoli sono state le volte in cui Genova è stata distrutta, umiliata, offesa:

penso ai guidati da Magone che nel 205 a.C. la rasero al suolo, ai Saraceni nel 935 d.C. che ne violarono il litorale, per non parlare di , spagnoli, austriaci, inglesi e .

"Il bombardamento del 1684 illustrato da Jan Karel Donatus".
“Il bombardamento del 1684 illustrato da Jan Karel Donatus”.

Il terribile sacco di Genova ad opera degli spagnoli nel 1522 ma senza dubbio alcuno l'aggressione ordita nel 1684 da Luigi XIV re Sole entra di diritto fra le più terribili. Non da meno fu l'assedio austro inglese del 1800 ricordato per l'eroica e strenua portata avanti dalla città comandata dal generale nizzardo Massena.

Che dire poi del vergognoso eccidio del 1849 perpetrato dai bersaglieri del generale La Marmora per conto dei Savoia?

In tempi più recenti durante la seconda guerra mondiale i bombardamenti degli alleati provocarono circa 9000 vittime civili oltre a danni incalcolabili agli impianti industriali e al patrimonio artistico della città.

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“I resti del complesso conventuale di S. Silvestro in Sarzano dopo i raid del 1942. Genova colpita al cuore”.

Genova come recita l'antico motto “flangar non flectar” mi spezzerò ma non mi piegherò che si può anche leggere al contrario “Flectar non flangar” mi piegherò ma non mi spezzerò, si è sempre orgogliosamente rialzata.

Le prime avvisaglie si ebbero il 11 e 13  giugno 1940,  cioè nei giorni immediatamente successivi all'entrata in guerra dell'Italia quando Inghilterra e Francia iniziarono i primi attacchi aerei. Ma il 14 giugno di quell'anno fu la data che rimase impressa nella memoria dei genovesi poiché  i Francesi intentarono addirittura un'azione navale contro Savona e Genova. L'operazione ebbe esito di poco conto ma scalfì non poco l'umore della popolazione e il morale dell'esercito, proiettati subito nello scontro, senza neanche aver avuto il tempo di realizzare la gravità della situazione.

Nel periodo compreso fra il 1941 e il 1945 gli storici hanno calcolato che i bombardamenti distrussero o danneggiarono gravemente 16000 edifici in tutta l'area comunale.

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“La chiesa di S. Stefano dopo il bombardamento dell'8 agosto 1943”.

La Superba dovette subire ben 86 incursioni aeree volte non solo a colpire le industrie e il ma anche il centro abitato con l'intenzione di terrorizzare la popolazione.

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“La zona atterrata di S. Donato in cui si staglia eroico il suo campanile”.

Il 9 febbraio 1941 le navi inglesi provenienti da Gibilterra attuarono “l'operazione Grog” entrando, di sorpresa, senza incontrare alcuna resistenza nel golfo di Genova seminando morte e distruzione. Dalle 8:15, così raccontano le cronache del tempo, fino alle 9:45 i britannici scaricarono sulla 273 proiettili di grosso e 782 di piccolo calibro. Circa 300 tonnellate di bombe provocarono 141 morti, 227 feriti e 2500 senzatetto, oltre 250 gli edifici distrutti, quattro navi ancorate in porto affondate e le acciaierie dell'Ansaldo danneggiate gravemente. In quest'occasione venne colpita anche la Cattedrale dove però l'ordigno non esplose. Via XX settembre, la civica biblioteca Berio, il e le colline, le zone maggiormente colpite.

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“La lapide che ricorda le vittime della tragedia della galleria delle Grazie”.

Legata sempre ai bombardamenti è la tragedia che si verificò nella galleria delle Grazie presso Porta Soprana dove, la notte fra il 23 e il 24 ottobre 1942, 354 genovesi morirono calpestati dalla ressa di persone che, terrorizzate, cercavano di entrare nel rifugio.

L'anno seguente l'8 agosto 1943 è il teatro Carlo Felice ad essere distrutto in compagnia delle chiese di S. Stefano, Consolazione e S. Siro. Ben 169 le tonnellate sganciate su Genova, 100 morti e circa 13000 senza dimora. In quel nefasto autunno la città subì altri 6 bombardamenti causa di 1250 case abbattute.

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“Recco in macerie”.

Fu in questo periodo che la riviera di Levante perse uno dei suoi borghi più affascinanti; per via della posizione strategica del suo ponte ferroviario Recco, in seguito a 27 incursioni aeree fra 10 novembre del '43 e l'agosto del'44, venne rasa al suolo.

In quell'anno anche Genova venne oltraggiata da 51 devastanti blitz culminati con il crollo, il 10 ottobre del '44, della galleria di S. Benigno, causato da un fulmine che fece brillare delle cariche esplosive le quali, a loro volta, innescarono lo scoppio di un treno carico di munizioni, ricoverato nella galleria. Sotto i detriti del promontorio perirono 2000 persone.

Nel 1945 a gennaio i bombardamenti furono undici, a febbraio quattro e in marzo tre. Se ne contarono ancora sette anche in aprile quando, finalmente, Genova suonò la diana dell'insurrezione restituendo la libertà ai suoi cittadini.

Storia di un Palazzo… di infermi…

di prigionieri… di carità.

Oggi sede della Facoltà di Scienze Politiche, ubicato in posizione collinare, sorge il monumentale edificio eretto nel 1652 e terminato, nella versione attuale, nel 1835. I lavori non appena deliberati vennero subito interrotti a causa della piaga della che nel 1657 falcidiò gli abitanti della città. Le loro salme, circa diecimila cadaveri, furono sepolte nelle fondamenta del complesso.
Noto ai come L' perché costruito su donazione del Marchese per dare ospizio agli indigenti, offriva circa milleottocento posti letto anche se, durante la guerra savoina del 1672 e l'insurrezione antiaustriaca del 1746, accolse fino a quattromila prigionieri.
Al suo interno una chiesa e una quadreria di tutto rispetto con opere del De Ferrari, del e di artisti di scuola fiamminga. Realizzazione dello Schiaffino è l'altare, del  marsigliese , la statua dell'Assunta, i più affermati artisti del loro tempo.

"Madonna Assunta del Puget e sottostante altare dello Schiaffino".
Madonna Assunta del Puget e sottostante altare dello Schiaffino”.

 

Durante il nefasto bombardamento del 1684 ad opera del Re Sole, ospitò il e il Senato che avevano abbandonato il per mettersi in salvo portando seco il tesoro e le Ceneri del Battista, oggi custoditi nella cripta della Cattedrale di S. Lorenzo il primo e nella Cappella di S. Giovanni, le seconde.
In facciata lo stemma cittadino la regale e i Grifoni che reggono lo Scudo di . Andato purtroppo perso, deteriorato dal tempo, il sovrastante secentesco affresco del G. B. Carlone.

Storia di una Chiesa particolare…

 profondamente genovese…
In attigua all'antica fin dal 862 esisteva, appena fuori le , l'omonima chiesa.
Nel 1398, a causa di un vasto incendio, rimase al suo posto un cumulo di tristi macerie fino a quando, alla fine del secolo successivo, venne demolita per permettere la costruzione del nobiliare di Giannotto Lomellini, della città.
In seguito ad un voto compiuto nel 1583 dal nobile durante la , la lussuosa dimora venne abbattuta.
Soltanto le costruzioni a livello della strada rimasero intatte.
Si decise così di ricostruire la chiesa e, caso unico al mondo, si stabilì di tassare i commercianti che, in questo modo, poterono ottenere la concessione delle botteghe sottostanti.
Rispetto a quella originaria l'architetto Bernardo Cantone spostò la facciata rivolgendola non più a mare, bensì sulla Piazza e aggiunse sia la coreografica balaustra marmorea che lo scalone di accesso.
Terminata nel 1590 la chiesa di S. Pietro prese il nome della Porta, in ricordo della vicinanza all'arco dell'antica porta.
Testimone secolare di liti, omicidi (celebre teatro dell'assassinio del musico Stradella), rivolte, contrattazioni, scambi, commerci ,come identificata dalla maggioranza, è la chiesa che meglio rispecchia l'approccio tutto genovese, come direbbe , “al sacro e al profano”.
L'edificio dovette subire anche l'onta dei di nel 1684 e, soprattutto, quelli alleati del 1942.
Ristrutturata per l'ennesima volta si mostra come ancora oggi la vediamo, nonostante i disarmonici squilibri, in tutta la sua scenografica presenza.

“Chiesa di Piazza Banchi”. Foto di Leti Gagge.

Storia di… un Re… di un Doge…

… un bombardamento… una guerra e un orgoglio che non ha prezzo.
Siamo nel 1684 il , con il pretesto di un mancato saluto (ogni nave straniera che entrava nel Porto doveva, per antica consuetudine, sparare un colpo di cannone a salve, in omaggio alla ; Il Sovrano pretendeva l'esatto contrario), di un'amicizia con la Spagna (gli armatori genovesi stavano infatti allestendo un'imponente flotta per gli iberici), di un prestito non corrisposto (Il Re, per pagare le sue truppe sparse in tutta Europa, aveva bisogno delle “palanche” dei banchieri nostrani), della mancata concessione a vantaggio di  (città alleata dei nemici) di un deposito del sale, dà ordine alla sua flotta di centosessanta navi schierata e 756 bocche da fuoco dalla Foce alla Lanterna, di bombardare la città.

Quattro giorni di lutti e distruzione ma la resiste, non si piega e ribadisce, davanti ad un'Europa terrorizzata, la propria LIBERTA' e proclama la propria INDIPENDENZA!

Il marchese di Segnalay infatti, comandante della spedizione dà ordine a Duquesne, ammiraglio dello stuolo reale, nella notte fra il 22 e il 23 maggio di sbarcare a con 3500 soldati e, come diversivo, con un piccolo contingente in Albaro.

La milizia repubblicana genovese però con l'ausilio di numerosi volontari polceveraschi, sotto la guida del Capitano Ippolito Centurione, respinge gli invasori.

I Francesi, fallito lo sbarco e terminate le munizioni, la sera del 29 maggio rientrano a Tolone.
Re Sole infuriato per l'accaduto fa rinchiudere nella Bastiglia l'ambasciatore genovese a Parigi Paolo De Marini, il quale riesce a far giungere ai Serenissimi una missiva in cui li esorta a non sottomettersi al despota francese e a non preoccuparsi per lui dato che, per l'onore e la dignità della Repubblica, sarebbe pronto alla morte.
Il diplomatico avrà salva la vita e, incaricato dal Senato, negozierà a Ratisbona la pace, sostanzialmente alle condizioni imposte dal Monarca.

L'anno seguente il Doge Francesco Imperiale Lercari invece, convocato a Versailles, dovrà dar soddisfazione al Re e ratificare il trattato di pace precedentemente pattuito.

“Quadro raffigurante il Doge genovese accolto a Versailles dal Re Sole per ratificare la pace”. Louis 14-Versailles 1685

Ma non rinuncerà al suo orgoglio di GENOVESE, quando interrogato su cosa l'avesse più colpito (il Sovrano si riferiva allo sfarzo della reggia, allo spettacolo dei giochi d'acqua delle fontane, all'opulenza dei nobili di Corte), rispose sprezzante “Mi chi”(di essere qui io).