“Genova, una città piena di sorprese”…

Fin da piccolo, essendo la madre genovese, Paul Valéry prese a frequentare Genova in ripetuti soggiorni. La dimora della zia Vittoria Cabella, sita dietro il Coro di S. Luca, divenne punto di partenza per le sue escursioni nel centro storico:« Genova è ricca di monumenti e trascorro i giorni a visitarli. La cattedrale è bella, gotico-moresca con statue del tempo antico, iscrizioni che tento di tradurre con quel poco di latino che è rimasto in me. Ho visitato molti palazzi pieni di quadri. Tra gli altri, il palazzo del celebre Andrea Doria, ammiraglio delle Galere, alleato a volte della Francia, a volte dell’Austria. Ho visto una sala del quattordicesimo secolo con vecchi quadri dell’epica. Mi sono seduto sulla poltrona dove si sono seduti prima Carlo V e in seguito Napoleone», scriveva il giovane in una lettera indirizzata ad un amico nel 1887.

“Salita S. Francesco dove, al civico n. 7, per lungo tempo il poeta fu ospite degli zii”.

In seguito alla morte del padre Valéry abbandonò presto Montpellier e nel 1892 si trasferì con la famiglia in casa degli zii genovesi che, nel frattempo, avevano traslocato nella nuova abitazione al civico n. 7 di Salita S. Francesco di Castelletto.

“Questa città, tutta visibile e presente a se stessa, rifilata con il suo mare, la sua roccia la sua ardesia, i suoi mattoni, i suoi marmi. In lavorio continuo contro la montagna”, annotava acuto il poeta.

“La lapide che ricorda la Nuit de Genes, affissa in Salita S. Francesco”.

Fu un periodo di forte instabilità emotiva per il giovane Paul che, nelle notti tra il 2 e il 6 di ottobre, in una città sferzata da piogge e temporali, visse un’esperienza di dolore e travaglio interiori così potenti, da fargli ritenere inutili sia la poesia che la sua stessa esistenza. Quel momento passò alla storia nei manuali di letteratura come la celebre “Nuit de Genes” in cui la tempesta metereologica trovò corrispondenza con quella interiore, a tal punto, da indurlo all’abbandono della poesia e al silenzio per i successivi vent’anni.

Nei primi giorni d’ottobre del 1895 Valéry visitò nuovamente Genova, di ritorno da un giro in altre città italiane, come Trieste, Venezia e Milano scrisse al suo amico e collega Gide: «Rimango un po’ a Genova, dopo ieri sera…».

Nel 1910, dopo 15 lunghi anni, il poeta rientrò in città per salutare la madre ospite, sempre in Castelletto, nella nuova abitazione dei Cabella, di S. Maria della Sanità e, nei suoi appunti, annotò:

“La cucina in marmo di palazzo Montanaro, casa di Valéry, oggi abitazione privata ma, grazie alla lungimiranza dei proprietari, visitabile su appuntamento. Marmi e graniglie in perfetto stile genovese”.

 «Rivedere Genova -dopo quindici anni- mi dà molte emozioni[…]Ho là molti ricordi della mia infanzia, della mia adolescenza…»… e ancora…

«Genova, città dei gatti. Angoli neri. Si assiste alla sua ininterrotta costruzione dal tredicesimo al ventesimo secolo[…] Sullo sfondo, il monte Fasce, grigiastro e rosato, colore elefante. Carruggi. Qui, moltitudini di bambini giocano attorno a povere prostitute nude, o seminude che si offrono sulla soglia dei loro bassi aperti.[…] Si va nella vita complicata di questi profondi sentieri come si entrerebbe nel mare, nel fondo vero di un oceano stranamente popolato[…] Odori concentrati, odori ghiacciati, droghe, formaggi, caffè abbrustoliti, cacao deliziosi finemente tostati[…] Cucine fragranti. Queste torte gigantesche, farine di ceci, mescolanze, sardine all’olio, uova sode imprigionate nella pasta, torte di spinaci, fritture. Questa cucina è antichissima. Genova è una cava d’ardesia».

“L’ottocentesco mobilio della cucina a ronfò, tipologia di arredo molto diffusa nelle dimore patrizie genovesi”.

Genova cessa di rappresentare per Valéry il ricordo disincantato della gioventù e diviene il “luogo dell’anima”.

 Nell’aprile del 1924, tornando da Roma, dopo aver incontrato Mussolini per un colloquio sulla situazione intellettuale in Europa, fece una breve sosta a Genova: «…Contento ed emozionato di ritrovare la mia città Genova. Tutto mi parla qui. Io la preferisco a tutte le Rome».

“Paul Valéry, scrittore, poeta, filosofo”.

Ormai illuminato accademico di fama internazionale Valéry tornerà altre volte in città, l’ultima delle quali, nel 1933 ospite dell’Università in Via Balbi dove, come un cattedratico qualunque, terrà la sua “lectio magistralis” senza minimamente fare cenno al suo legame con la Superba.

Valéry, in verità, non ha dimenticato e ci ha lasciato in eredità una delle più appassionate, a mio parere, descrizioni della città:

“Ha una distesa di cupole, di monti calvi,di mare,

di fiumi, di neri fogliami, di tetti rosa.

E quella Lanterna così alta ed elegante,

 

e meandri popolosi, labirinti affollati,

 

le cui viuzze salgono, scendono, si intersecano improvvisamente,

 

sbucano sulla veduta del porto.

 

Genova, una città piena di sorprese.

 

Di porte scolpite in marmo, ardesia, casse, formaggi, scale,

 

biancheria al posto del cielo, cancellate,

 

bizzarro dialetto dal suono nasale e irritante,

dalle abbreviazioni strane, vocaboli arabi o turchi.

Mentre Firenze si contempla

e Roma si sogna

e Venezia si lascia vedere.

Genova si fa e rifà”.

 

“… Questa è la città dei re”…

storia di un poeta innamorato…
“A quel tempo eravate il popolo più felice della terra.
Il vostro paese pareva un soggiorno celeste così son dipinti gli Elisi.
Quale spettacolo dalla parte del mare!
Torri che sembrano minacciare il firmamento, poggi coperti di ulivi e melaranci, case marmoree in su le rupi, e deliziosi recessi in tra gli scogli, ove l’arte vincea la natura, e alla cui vista... i naviganti sospendeano il movimento dei remi, tutti intenti a riguardare.
Ma chi veniva da terra, meravigliando, vedeva uomini e donne regalmente vestiti, e fino tra boschi e montagne delizie incognite nelle corti reali.
All’ingresso della città vostra, pareva mettere piede nel tempio della Felicità e di lei si preferiva ciò che fu detto anticamente di Roma:
questa è la città dei Re.”
Dichiarazione d’amore datata 1352 scritta da Francesco Petrarca ai genovesi per esortarli a riappacificarsi con i veneziani con i quali, ormai da tempo, erano ai ferri corti.
Epistola anteriore di sei anni rispetto alla celebre definizione di Superba (“Vedrai una città regale… Superba…) ma non meno pregna di rispetto e ammirazione.
Panorama di Genova. Foto di Agnese Barbara Cittadini.

“È qualcosa di indescrivilmente bello…”

storia di un musicista tedesco… travolto, inebriato e sconvolto dalla Superba… qui trova “l’Oro”..
“Io non ho visto nulla come questa Genova! È qualcosa di indescrivilmente bello, grandioso, caratteristico: Parigi e Londra al confronto con questa divina città scompaiono come semplici agglomerati di case e di strade senza alcuna forma.
Davvero non saprei cominciare per darti l’impressione che mi ha fatto e continua a farmi tutto ciò: io ho riso come un fanciullo e non potevo nascondere la mia gioia”.
Con queste euforiche parole Richard Wagner, celebre compositore tedesco, descriveva nel 1853 alla moglie le sue impressioni su Genova.
A tal punto inebriato da quello che aveva visto da scrivere ancora alla consorte:”Per offrirti nel tuo compleanno il dono secondo me più grande, ti prometto oggi di farti fare nella prossima primavera una gita a Genova…”
Terminato il soggiorno genovese il musicista prosegue verso il Sud Italia ma, a La Spezia, lo prese un angosciante malessere e il desiderio di non continuare il viaggio.
Dopo una lunga passeggiata nei boschi Wagner cadde spossato a letto e, nel delirio del dormiveglia creativo, si svegliò impaurito con la sensazione e il suono dello sciabordio delle onde, quello stesso ritmico flusso che, a lungo, aveva ascoltato sulla rena genovese.
Subito il compositore si rese conto di aver avuto la rivelazione del suo capolavoro, opera che sentiva già dentro di se, ma che non riusciva a definire chiaramente, il celeberrimo “Oro del Reno”.
L’artista, padrone ormai della sua creatura, decise di rientrare a Zurigo e completare la partitura.
L’Ode musicale romantica per eccellenza quindi, più che dalle correnti del Reno, è stata ispirata dalle onde della Superba.

“Nietzsche che dice”…

“Rendo grazie alla sorte… che mi ha fatto capitare in quella dura, austera città durante gli anni della decadence … Quando uno va a Genova è come se ogni volta fosse riuscito ad evadere da sé: la volontà si dilata non si ha più coraggio di essere vili.
Mai ho sentito l’animo traboccante di gratitudine, come durante questo mio pellegrinaggio attraverso Genova”…

… “Genova. Io mi sono guardato questa città, con le sue ville, i suoi parchi e l’ampio circondario delle sue colline e dei suoi declivi, tutti abitati, per un bel po’; debbo infine dire che vedo volti di stirpi passate, ché questa regione è disseminata di immagini di uomini arditi e sicuri di sé. Hanno vissuto e voluto continuare a vivere: me lo dicono con le loro case, costruite e abbellite per i secoli, e non per l’ora fugace; amavano la vita, per quanto spesso potessero essere malvagi con sè stessi”…

… “Là voglio essere io: e confido in me, d’or innanzi, e nel mio timone. Aperto è il mare: nel suo cupo azzurro si spinge la mia prora genovese. Tutto sempre più nuovo mi diventa. Alle mie spalle è Genova. Coraggio! Se la mia nave guidi,  Carissima Victoria!

Così Nietzsche scriveva nel 1888 ai suoi familiari a proposito del suo soggiorno genovese.
Il filosofo tedesco capitò e abitò spesso in città dimorando sempre in luoghi diversi; pensioni nel centro storico o umili stanze in Via Palestro prima e, in Salita delle Battistine, poi.

“Ritratto di Nietszche”.

“Nel Nord  -prosegue- a chi osservi l’architettura delle città si impongono la legge e un desiderio generalizzato di legalità e di obbedienza: vi si indovina quella interiore tendenza a conformarsi e a equipararsi che doveva prevalere nell’anima di tutti i costruttori. Qui invece [a Genova], dietro ogni angolo, trovi una persona a sé, che conosce il mare, l’avventura e l’Oriente, un uomo poco incline alla legge e al vicino, che gli giungono noiosi, e misura con sguardo invidioso tutto ciò che è antico e già fondato: egli vorrebbe, con uno scaltro prodigio della sua fantasia, rifondare tutto ciò almeno nel pensiero, mettervi la sua mano e la sua sensibilità – fosse anche per un istante di un soleggiato pomeriggio in cui la sua anima malinconica e insaziabile avverte, per una volta, sazietà, e al suo occhio possono presentarsi soltanto cose proprie e non più estranee”.


Ma Friedrich non disdegnava nemmeno il bel clima della Riviera crogiolandosi al sole della Ruta, di Santa Margherita e di Rapallo, tutte località da questi frequentate e vissute.
Durante il soggiorno nella nostra regione compose, oltre a numerose poesie ispirate da Genova, anche alcune delle sue principali opere che avrebbero influenzato il pensiero occidentale quali: “La Gaia Scienza”, “Gli idilli messinesi”, “Così parlò Zarathustra” e “Aurora”.
“Felice e superbo” sono gli aggettivi che più sovente il Tedesco associa al suo nuovo “sentire”, percepisce Colombo, Paganini e Mazzini come tre superuomini da cui trarre esempio ed energia…
E poi il clima, il sole, il mare… le caratteristiche peculiari del Sud espresse in una città del Nord, sconvolgente per un tedesco!
… anche nel pensiero del più influente filosofo… Genova.