… Quando davanti al Museo di Storia Naturale…

Giacomo Doria c’erano dei giardini botanici, serre e frutteti… quando in tempo di guerra gli orti vennero adibiti alla coltivazione della patata, alimento indispensabile nell’indigenza del momento… quando Viale Brigata Bisagno non era stata ancora intitolata all’omonima formazione del Regio Esercito della prima guerra mondiale e il rettifilo allora si chiamava Via del Prato.

“Il serioso prospetto del museo. Ai lati della statua di Minerva, dea della scienza, gli stemmi di Genova, a sinistra e sabaudo, a destra”.

Il museo venne istituito nel 1867 (il primo domicilio fu presso Villetta Dinegro, nel 1912 venne trasferito nell’attuale sede) per volontà di Giacomo, l’ultimo membro di tal nome, degno della schiatta dei Doria, che volle donare alla città la sua inestimabile collezione di animali, rocce, fossili, minerali e varietà botaniche unica in Italia a quel tempo, di oltre quattro milioni di esemplari.

“Il Sant’Uffizio…”

Il tribunale del Sant’Uffizio venne istituito a Genova nel 1256, anno in cui “obtorto collo”, per via dei rapporti diplomatici con il Vaticano, i genovesi accolsero la richiesta di Papa Alessandro IV.

Le leggi della Repubblica, in realtà, bastavano ed avanzavano per adempiere alle attività di controllo sugli eretici per cui il suddetto istituto non ebbe mai particolare rilevanza agli occhi dei Serenissimi Collegi.

A testimonianza di ciò nel 1669 l’inquisitore di stanza in città, il domenicano Fra Michele Pio dei Pazzi, (gli inquisitori erano quasi sempre membri dell’Ordine domenicano) fece affiggere in diversi luoghi cittadini l’elenco dei libri all’Indice stilato dalla Curia Romana. Ai reggenti della città, non essendone stati informati, la cosa non piacque affatto. Pertanto fecero rimuovere e distruggere gli avvisi e cacciarono l’inquisitore con il suo segretario. Curioso l’atteggiamento dell’alto funzionario quando, durante la lettura della sentenza di espulsione, iniziò a dar di matto e non trovando appiglio nelle autorità civili, lanciò una pesante scomunica. Terminato lo sfogo venne scortato insieme al suo seguito fuori dai confini della Repubblica. Onde evitare che incresciose situazioni di siffatta specie potessero ripetersi, venne emanata una legge che istituiva l’entrata in vigore di una nuova carica, quella dei Protettori, due senatori, del Sant’Uffizio, che vigilassero sull’operato dell’Inquisitore di turno.

“Chiesa e piazza in una acquaforte del 1825 di Friedrich B. Werner”.
“Le bifore della Torre Grimaldina, nel Palazzetto Criminale, viste dall’interno”.

Il tribunale ecclesiastico, come risaputo, si occupava oltre di libri all’Indice, di giudicare in materia di sortilegi, stregoneria e superstizioni e di vagliare l’abiura degli eretici. Tutti ambiti poco pratici per un popolo, quello genovese, dedito al commercio e alla finanza, per cui nel carcere del sant’Uffizio in San Domenico, nel 1746 si registrava la presenza solo di tre ospiti, per altro foresti: il primo un dottore milanese, tal Ferretti, il secondo un certo Basilio, piemontese. Quest’ultimo era stato originariamente condotto nel Palazzetto Criminale, accusato di omicidio ma, poiché continuava a professarsi innocente e ad ingiuriare la religione cristiana, venne trasferito nelle segrete di San Domenico.

I genovesi presero a cuore la situazione dei due disgraziati, prova ne è la richiesta di liberazione dei due detenuti, pervenuta sulla cattedra dei Protettori: “Serenissimi Signori sarebbe finalmente tempo che il povero dottor Ferretti milanese dopo un sì lungo e penoso carcere ne fosse rilasciato. Lo stesso potrebbe meritare il povero Basilio che, quantunque passato per disperazione alle carceri del Sant’Uffizio, ne sarebbe facilissimo il rilascio se lo conseguisse anche da Vostre Signorie Serenissime. Le circostanze dei tempi non possono per ambedue essere più favorevoli”.

I Protettori del Sant’Uffizio, su mandato dei Serenissimi Collegi, si attivarono e riuscirono a liberare sia Basilio che il Ferretti e a rimandare quest’ultimo a Milano.

“Interno di una delle celle della Torre Grimaldina”.

Rimaneva, incarcerato dal 1740, un solo prigioniero un altro medico Carlo Riva, di Sestri Levante accusato di aver più volte pubblicamente affermato: “essere la confessione stata istituita da’ pontefici, per avere il modo di sapere tutto ciò che fanno e pensano gli uomini ed essere i martiri gente uccisa da’ stessi seguaci di Dio, perché non volevano seguitare la loro fede”. Non solo, il medico aveva anche negato l’esistenza della terza persona nel dogma Santissima Trinità. Fu convinto da un amico ad abiurare  con la promessa che, una volta libero, non avrebbe dovuto fare pubblica ammenda ma solo non tornare più ad occuparsi di tali argomenti.

Nel 1797 con la fine della Repubblica oligarchica e la nascita di quella effimera democratica, sotto l’egida di Napoleone, la Santa Inquisizione terminò la sua attività a Genova.

In Copertina: Visitare i carcerati quadro di Palazzo Bianco 1643. Cornelis de Wael pittore fiammingo (1592-1667).

… Quando a Garibaldi…

“Garibaldi dal 15 ottobre 1893 ha trovato, in sella al suo destriero, sacrosanta collocazione”.

non era ancora stato assegnato il suo legittimo posto in Piazza De Ferrari… quando la statua del generale scolpita da Augusto Rivalta non era ancora stata inaugurata (15 ottobre 1893), in ritardo di poco più di un mese rispetto alla fondazione del Genoa CFC (7 settembre 1893)… quando già dal 1827, al posto del convento di San Domenico, l’elegante facciata neoclassica del teatro Carlo Felice faceva bella mostra di sé… in ogni caso i calessi disposti in buon ordine aspettavano, come moderni taxi, l’uscita degli spettatori.

… Quando la guidovia…

si arrampicava, tra il 1929 e il 1967, lungo i sentieri del monte Figogna percorrendo circa 10 km prima di giungere al Santuario della Guardia… quando San Quirico era la stazione di arrivo e di partenza, snodo di escursioni e pellegrinaggi domenicali dei genovesi.

Salita Pollaiuoli…

Piazza del Ferretto prende il nome dalla nobile famiglia che nel 1705 diede alla Repubblica il doge Stefano Onorato e l’abate Gio. Nicolò fondatore nel 1795 della scuola per fanciulle povere in San Francesco d’Albaro.

“La loggia ogivale del XIII sec. in Piazza del Ferretto”.

All’angolo con Salita Pollaiuoli si possono ammirare i resti di una loggia del XIII sec., una grande arcata ogivale in pietra con cornice di archetti. Ai piani nobili sono state aperte quattro finestre posteriori che hanno stravolto le arcate in conci bicromi di laterizio originarie. Agli ultimi due piani resistono ancora tracce a fresco di decorazioni architettoniche con cariatidi di epoca successiva. Un tipico esempio dei mutamenti e del sovrapporsi di usi e stili avvenuti nei secoli. Da loggia mercantile con magazzino e rivendita, a residenza nobiliare.

La salita e la piazza dei Pollaiuoli devono invece il nome alle botteghe di cacciagione, selvaggina e pollame presenti nella zona fin dal 1600 all’epoca dell’apertura del caruggio stesso. In precedenza infatti queste attività erano site in piazza San Giovanni il Vecchio, accanto alla Cattedrale di San Lorenzo e prima ancora, già dal XII secolo, in Soziglia.

All’interno del ristorante “Sapori di Genova”al 17r, (un tempo si chiamava Garofano Rosso, di qui il simbolo del Partito), si legge una lapide che racconta della fondazione, in occasione della quale ci fu la scissione con gli anarchici, proprio a Genova, del Partito Socialista Italiano:

“La targa all’interno del locale che, un tempo, si chiamava il Garofano Rosso”.

“La Sera del 14 Agosto 1892/ I Delegati di 150 Associazioni Operaie/ del Mutuo Soccorso e Sociali/ Lasciata Sala Sivori/ si Riunirono in Questa Trattoria/ e qui Decisero di Indire il Giorno Dopo/ 15 Agosto 1892/ nella Sala dei Carabinieri Genovesi in Via della Pace/ il Congresso di Fondazione / del Partito dei Lavoratori Italiani/ Partito Socialista Italiano/ 14 Agosto 1892. 14 Agosto 1892.

“La Sala Sivori in Salita Santa Caterina 48r”.

La Sala Sivori che venne inaugurata nel 1869 con un concerto di Camillo Sivori, celebre virtuoso del violino ed a questi intitolata, esiste ancora ed è attualmente occupata da un cinema.

Al civ. 18r una piccola edicola a tempietto semicircolare in stucco della Madonna della Immacolata Concezione. Un tempo era decorata con teste di cherubini e riccioli floreali. La statua della Vergine al suo interno è una copia poiché l’originale è stato rubato.

“Edicola barocca secentesca con Sant’Antonio da Padova e Santa Caterina Fieschi”.

Proprio nella piazza al n. 8 si trova una delle edicole più note, quella che ritrae Sant’Antonio da Padova e Santa Caterina Fieschi. L’ovale in stucco contiene i due santi rivolti in adorazione al bambino. Sant’Antonio in ginocchio su una nube, bacia la mano del bambinello. Santa Caterina poggia su un inginocchiatoio coperto da un bel drappeggio. In mano porta, in atteggiamento estatico, il cuore. Gesù poggia su una nuvoletta dal quale spuntano quattro teste di cherubini alati. La grande cornice sagomata che racchiude la scena è sorretta da due angeli alati mentre angioletti e cherubini alati spuntano dalle nubi. Completano l’immagine una grande raggiera in legno coperta da un tettuccio in lamiera lavorato.

“Interni in stile Liberty”. Foto di Leti Gagge.
“Interni della Grotta di porcellana di Dino Campana”. Foto di Leti Gagge.
“Specchi, specchi e ancora specchi”. Foto di Leti Gagge.

All’angolo con Via Canneto il Lungo i resti di due teste di cherubini di un’altra Madonna Immacolata, anch’essa sparita. Il tabernacolo è completamente abbandonato ed ospita nidi di piccioni.

Al civ. n. 43r. il famoso Caffè degli Specchi, inaugurato nella conformazione attuale nel 1917, interamente rivestito di tasselli in ceramica con pareti e specchi dell’epoca. Spettacolare il soffitto a “grotta” che ha ispirato i versi di Dino Campana che qui amava spesso sostare:

“Entro una grotta di porcellana

Sorbendo caffè

Guardavo dall’invetriata la folla salire veloce”.

In precedenza invece il locale fu di proprietà di Felice Dagnino uno dei maggiori attivisti mazziniani in città. Intorno al 1870 il caffè divenne il principale luogo di ritrovo dei repubblicani che vi organizzavano incontri e riunioni per cospirare contro la monarchia.

“I versi del poeta esposti all’ingresso del Caffè”.

Logge mercantili, mercato avicolo, fonte d’ispirazione per poeti, luogo di fondazione di un Partito e punto d’incontro per sovversivi repubblicani… e pensare che molti è solo una semplice salita come tante altre.

 

 

A spasso per Ravecca…

Varcata la Porta di S. Andrea, svoltando a sinistra s’imbocca Via di Ravecca, probabilmente il caruggio più antico della città. Ravecca, infatti, è l’evoluzione fonetica di Ruga Vecchia termine con il quale nel medioevo s’indicava una strada maestra fra due ali di palazzi. Tutta la contrada che si snoda a mezza costa, parallela alle murette, ne assume il nome.

“Edicola al civ. n.3”.

Al civ. n. 1r in una piccola nicchia semicircolare con  tettuccio in ardesia e basamento di stucco, la Madonna della Misericordia, copia dell’originale del sec. XVII-XVIII, conservata nel museo di S. Agostino.

Proseguendo, al civ. n. 3 un’altra minuscola nicchia priva di cornice sempre con tettuccio in stucco e base in ardesia al cui interno è ricoverata una Madonna col Bambinello anch’essa in stucco. Sul trave del portalino l’epigrafe: “Visitavit et Fecit”.

“Edicola di San Giovanni Battista all’angolo con Vico Gattilusio”.

All’angolo con Vico Gattilusio, il cui nome trae origine dalla nobile famiglia (in realtà furono anche pirati) che tra il 1262 e il 1462 fu signora di Metelino (Mitilene in Grecia) ed ebbe numerosi fondaci in giro per l’oriente, un’edicola di San Giovanni Battista del sec. XVII. Un tempietto classico in marmo decorato con motivi ad intarsio. La statua marmorea raffigura il santo nel consueto atto benedicente, il bastone pastorale e l’agnello ai piedi. Il libro appoggiato su un tronco d’albero da cui spunta un serpentello. Sulla roccia cui poggi il piede il santo, una minuscola figura di bambino a cavalcioni.

Sul piedistallo si legge. “De. Mense. Mail. 1616”, nella trabeazione. “Vicini. Hvivs. Contractae. Hanc. Statvam. S. Io. Bap. Erigendam. Esse. Cvravere. Sulla base infine: “Sic Hvmilis. Qvisnam. Clamanti. Voce. Potatvr. Severiore / Qveit. Vita. Fvlgere. Permini”.

 Questa breve deviazione laterale verso le murette costituiva in passato il passaggio dei doganieri al loro posto di guardia. Fino al 1858 il caruggio era popolarmente identificato come “Vico Spuncia cù”, forse per sottolineare i modi non propriamente garbati con cui le guardie effettuavano i loro controlli.

Al civ. n. 5 sul muro all’altezza del primo piano fra due finestre brani di un dipinto in cui è solo riconoscibile un disegno a rombi di colore rosso.

“L’insegna sbiadita sul marmo dell’antica tripperia”.

Di fronte al 30r. la tipica insegna in marmo di una vecchia tripperia. S’incontrano poi alcuni portalini, stipiti in pietra nera di Promontorio.

“Edicola al civ. n. 50”.

Al civ. n. 50 un tabernacolo con Madonna con Bambino del sec. XVI- XVII. La nicchia poco profonda la fa pensare più adatta ad un dipinto che ad una statuetta. L’originale è andato perso ed è stato sostituito con una moderna e anonima ceramica in rilievo. Alla base è inciso il monogramma di Maria con la corona.

Via Ravecca non è solo un percorso nella storia ma anche un viaggio nel gusto e nella tradizione:

“Gli interni della Sciamadda”.
“L’esterno di Cibi e Libri”.
“Forno Patrone. Dal 1920 la focaccia a Genova”.

al 19r. “La Sciamadda”, rivendita di torte e farinate, al n. 48 “Cibo e Libri”, un originale locale in cui è possibile consumare pasti etnici e salutistici in compagnia di un buon libro, al n. 72r. “L’Antico forno Patrone”, dove assaporare, fra le innumerevoli specialità, la migliore focaccia dei caruggi.

“Sua maestà il duecentesco campanile in alicados di S. Agostino”.

Percorso il budello di Ravecca si sbuca in Sarzano, nel cuore medievale di Genova, sotto lo sguardo severo ma indulgente del campanile di S. Agostino e allora, per dirla come il poeta, all’imbrunire, si palesa in tutto il suo solare splendore.

“Un chiarore in fondo al deserto della piazza sale tortuoso dal mare dove i vicoli verdi di muffa calano in tranelli d’ombra. In mezzo alla piazza, mozza la testa guarda senz’occhi sopra la cupoletta.

Una donna bianca appare a una finestra aperta.

E’ la notte mediterranea”.

(Canti Orfici, Dino Campana).

“Il pozzo di Giano nella piazza di Sarzano”.

… Quando in Via Casaregis…

Quando, da pochi decenni, il quartiere della Foce era stato inglobato (1873) nella città di Genova… quando i platani che ora ombreggiano Via Casaregis erano poco più che arbusti… anzi pali di legno fra i quali si sarà certamente proteso in volo il futuro portiere del Genoa e della Nazionale italiana: il leggendario Giovanni De Prà, il ragno rossoblù che, in quella via diede i primi calci, pardon… afferrò i primi palloni, a difesa, come il paziente e svelto insetto, della sua rete.

 

… Quando Ricina…

Quando Recco, la Ricina di romana memoria, non aveva, in quanto a bellezza, nulla da invidiare alla vicina Camogli… quando si poteva mangiare il pesce appena pescato dai gozzi, sopra una rudimentale palafitta sul mare… quando l’antico borgo marinaro non era ancora stato devastato dai bombardamenti alleati avvenuti durante la seconda guerra mondiale. Tra il 10 novembre 1943 e il 28 giugno del ’44 Recco, infatti, venne praticamente rasa al suolo da 27 incursioni aeree volte, in particolare, a distruggere il ponte della ferrovia, passaggio strategico per i rifornimenti alle forze nemiche della Wehrmacht.