In Vico Vegetti

Vico Vegetti si snoda in salita con il suo sinuoso percorso.

Pietra e mattonata rossa sono le tipiche caratteristiche della creuza genovese.

All’altezza del civ. n. 8 si nota un’arrugginita insegna, testimonianza di antichi artigiani, della Mutua Assistenza Lavoranti in legno.

Poco più sopra s’intravvede quel che resta della secentesca Madonna della Misericordia, un’edicola – purtroppo – priva della statua marmorea della Vergine, con il tabernacolo a tempietto in pietra nera.

La Grande Bellezza…

Foto di Leti Gagge.

Campopisano

Prima del 1284, l’anno della Meloria, quando i prigionieri pisani vennero tradotti in città, l’area era identificata come Campus Sarzanni e fino a gran parte del ‘400, fu adibita a cimitero per poveri e pellegrini.

Fu solo a fine secolo che si iniziarono a costruire, slanciate e accatastate le une alle altre, le prime case.

Vista la loro inusuale altezza, osservate dal mare, dovevano proprio ricordare gli odierni grattacieli di una metropoli scolpita nella pietra e aggrappata alla scogliera.

“Andiamo al Campo Pisano: ivi i tredicimila prigionieri fatti alla Meloria cainesca e le larve disperatissime dei tremila uccisi fecero ringhiare il proverbio tremendo: – Chi vuol veder Pisa vada a Genova“.

Cit. Ambrogio Bazzero scrittore (1851 – 1882).

In realtà i prigionieri fatti alla Meloria furono circa 9000, probabilmente lo scrittore aveva conteggiato un numero più alto includendo i catturati delle numerose altre battaglie avvenute in quegli anni con l’odiata rivale.

La Grande Bellezza…

Foto di Leti Gagge.

Le ceneri dell’esploratore

Assai avventurosa e di difficoltosa tracciabilità è la vicenda legata agli spostamenti delle ceneri di Cristoforo Colombo confuse, secondo alcuni studiosi, se non addirittura mischiate, con quelle del figlio Diego al tempo in cui quelle di entrambi erano ricoverate a Santo Domingo.

Da qui l’annosa diatriba, tuttora in evoluzione, che assume i nebulosi ma intriganti contorni del giallo internazionale che si dipana sostanzialmente lungo due filoni: quello, il primo, che asserisce che le spoglie del navigatore siano a Siviglia per via cubana, e l’altro, il secondo che invece le assegna, per il percorso dominicano, spartite tra Pavia e Genova.

Per questo motivo numerose sono le località che ne vantano – o ne hanno vantato – per lo meno un parziale possesso: Valladolid, Siviglia, Santo Domingo, Cuba, Venezuela, Stati Uniti, Cadice, Pavia, Genova.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è FB_IMG_1586974705976.jpg
“Raccolta del Municipio in cui si racconta la donazione dominicana delle ceneri”

Nel 1877 infatti i resti del corpo all’interno della tomba monumentale di Siviglia furono identificati come quelli del figlio di Colombo e si scoprì così che le spoglie dell’esploratore erano rimaste ancora a Santo Domingo.

A quel tempo i fatti le ceneri di Colombo erano state affidate da Gio Batta Cambiaso, console di Santo Domingo al fratello Luigi, console italiano dell”isola caraibica, che le aveva ripartite in tre parti:

una parte fu inviata a Genova; un’altra parte, la seconda, fu mandata in Venezuela, prima terraferma scoperta da Cristoforo Colombo e l’ultima, la terza, fu spedita erroneamente a Pavia, perché si credeva che il celebre esploratore avesse studiato in quella famosa Università.

Cristoforo Colombo morì infatti il 20 maggio 1506 in Spagna e fu sepolto il giorno successivo nella cappella di Santa Maria de la Antigua nella chiesa di San Francesco a Valladolid.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è 220px-Columbus_Tomb_Dominican_Republic_01_2018_6805.jpg
“Tomba a Santo Domingo”.

Nell’aprile 1509 il figlio Diego, dando inizio alle avventurose peregrinazioni, fece trasportare la salma a Siviglia nella cappella di Sant’Anna nella Cartuja di Santa Maria de las Cuevas dove, una iscrizione recita” A Castilla y a León, Nuevo Mundo diò Colón”.

Fu poi l’Imperatore Carlos I che, in Valladolid il 2 giugno 1537 con “Real Cédula”, concesse a  doña María de Toledo di trasferire e deporre i resti di  Colón, come il genovese stesso aveva sempre desiderato, nella cappella maggiore della cattedrale di Santo Domingo nell’isola di Hispaniola.

Nel 1541 i resti dell’Ammiraglio vennero quindi collocati nella cappella dell’altar maggiore della chiesa di San Francesco a Santo Domingo dove già si trovavano sepolti altri congiunti come il figlio Diego, i nipoti Luigi e Cristoforo II, il fratelli Bartolomeo e altri membri della famiglia.

“Il carro che trasportava l’urna con le ceneri dell’esploratore”. Foto originale di Giovanni Benzo.

Passano i secoli ma Colombo non trova requie: col trattato di Basilea del 22 luglio 1795 infatti la Spagna cedette alla Francia la parte orientale dell’isola di Hispaniola, Santo Domingo, che ancora occupava.

In concomitanza di quello storico passaggio di consegne l’Ammiraglio spagnolo Don Gabriel de Aristigabal ottenne dal governo francese l’autorizzazione di trasferire le ceneri di Cristoforo Colombo nell’isola di Cuba.

Così il 20 dicembre 1795 dopo una solenne cerimonia nella cattedrale di Santo Domingo, le preziose reliquie furono imbarcate sul brigantino francese “La Découverte” e trasbordate sul vascello spagnolo “San Lorenzo” per essere traslate nella cattedrale dell’Havana a Cuba.

Come prassi del codice della navigazione il porto si fermò in rispettoso silenzio mentre le navi presenti in rada spararono diversi colpi a salve e resero ai resti di Cristoforo Colombo gli onori militari dovuti ad un Ammiraglio di cotanto lignaggio.

Ma le peripezie non finirono qui perché, conseguenza del Trattato di Parigi del 1898 che sanciva l’isola di Cuba come possedimento degli Stati Uniti, il governo spagnolo stabilì di riportare le spoglie di Cristoforo a Siviglia.

“Mausoleo di Siviglia”.

Il trasporto venne effettuato in pompa magna con tutti gli onori a bordo della nave da guerra “Conde de Venadito” che viaggiò da Cuba sino a Cadice.

A Cadice le spoglie vennero trasbordate sullo yacht reale “Giralda” che risalì il Guadalquivir con le bandiere a mezz’asta ma lasciando bene in vista lo stemma dell’Ammiraglio, ancorando a Siviglia il 19 gennaio 1899 . 

A Siviglia le ceneri vennero  poi sbarcate e portate definitivamente nella cattedrale del capoluogo andaluso.

“La cerimonia della consegna sotto l’Arco dei Caduti”. Foto originale di Giovanni Benzo.

La parte delle ceneri genovesi provenienti da Santo Domingo furono riconsegnate (recuperandole dal ratto tedesco) il 31 maggio 1945 in Piazza della Vittoria dal generale della 92^ divisione fanteria USA ” Buffalo Soldier Division”:

“Oggi come comandante delle Forze americane in Genova, restituisco alla vostra città queste ceneri di un vostro figlio famoso, nello stesso modo con cui le nostre truppe hanno restituito a Genova la pace e la sicurezza poco più di un mese fa.

La teca presso il Galata Museo con le Ceneri di Colombo

Questo simbolo che era stato asportato dalla città dalle forze sinistre dei vostri recenti oppressori vi è ora restituita”.

Da qui vennero trasferite nel Municipio genovese a palazzo Tursi dove rimasero al sicuro per diversi decenni.

Oggi, nella speranza che l’Odissea sia terminata, l’ampolla di Colombo si trova sempre a Genova, ma ha cambiato domicilio ed è custodita, in una sala appositamente dedicata al nostro illustre concittadino, al Museo Galata.

In copertina l’ottocentesco Monumento di Colombo in Piazza Acquaverde a Genova. Foto di Bruno Evrinetti.

Fonti:

Odissea delle ceneri di Cristoforo Colombo- Da Valladolid a Siviglia, Santo Domingo, Havana, Cadice e Siviglia.

Il generale americano Ned Almond consegna alla città di Genova le ceneri di Cristoforo Colombo. 31 maggio 1945. ⋆ Comitato Nazionale Cristoforo Colombo

Link al sito: Homepage ⋆ Comitato Nazionale Cristoforo Colombo

Autore degli articoli e proprietario delle foto Bruno Aloi Presidente del Comitato Nazionale Cristoforo Colombo.

… Quando la stazione di Sampierdarena…

Già dalle caratteristiche moderne della sua stazione, con le sue gigantesche tettoie d’acciaio, si poteva facilmente intuire perché Sampierdarena era considerata la Manchester italiana.

Il nucleo originario della stazione fu costruito nel lontano 1853 in occasione della realizzazione della tratta Genova – Busalla  della linea ferroviaria dei Govi.

Fu poi ampliata con la realizzazione della linea Asti-Genova e della linea Genova-Savona della quale è anche stazione di diramazione.

Tuttora rimane il terzo scalo cittadino.

Le giraffe del porto

Le gru del porto, gigantesche giraffe d’acciaio, si stagliano all’orizzonte come sentinelle del porto.

“Le gru, acciò che ‘l loro re non perisca per cattiva guardia, la notte li stanno dintorno con pietre in piè.
Amor, timor e reverenza: questo scrivi in tre sassi di gru”.

Cit. Leonardo Da Vinci genio (1452 – 1519).

La Grande Bellezza…

Foto di Leti Gagge.

L’elegante Lanterna

“Preferisco Genova a tutte le città in cui ho abitato. È che mi ci sento sperduto e a casa mia – fanciullo e straniero. Essa ha una distesa di cupole, monti calvi, mare, fumi, neri fogliami, tetti rosa, e quella Lanterna, così alta ed elegante”.

Cit. Paul Valery scrittore francese (1871 – 1945).

La Grande Bellezza…

… Quando suonavano i Beatles…

Giunsero a Genova il 25 giugno e alloggiarono al Columbia Excelsior in Via Balbi, vicino alla stazione ferroviaria di Piazza Principe.

Quando, come molti illustri viaggiatori del passato, si fecero scorrazzare sulle alture per poter ammirare il panorama della Superba e del porto illuminato di notte.

Non contento George Harrison giunse sino a Sori per fare un bagno in mare.

Quando il 26 giugno 1965 al Palasport si esibirono, nella loro unica tournée italiana, i Beatles.

Salirono sul palco due volte per poco più di mezz’ora nello stesso giorno: davanti a 5000 spettatori nel pomeriggio, 15000 alla sera.

Oltre a Genova, scelta da Mc Cartney perché città di mare come Liverpool i Beatles, dopo essersi esibiti a Milano, suonarono infatti solo a Roma.

Il bassorilievo di San Siro

Sul pilastro centrale del palazzo Castellino Pinelli sito in Via San Siro 2, si trova una piccola targa del 1580 che racconta il miracolo di San Siro che sconfigge il Basilisco.

Il bassorilievo è collocato nella posizione dove si presume fosse collocato il pozzo infestato dal mostro.

Narra la leggenda che il gallinaccio con la coda di serpe ammorbasse l’aria con il suo alito nefasto.

S. Siro, metafora della potenza della preghiera sulla falsità dell’eresia ariana, lo fece uscire dal pozzo impartendogli un deciso comando e lo condusse in mare dove annegò.

L’epigrafe scolpita sulla tavella recita:

Hic Est Puteus Ille / Ex Quo Beatissimus Sy / Rus Eps Ondam Ianven / Exthrasit Durum Ser / pentem Noie Ba / Xiliscum / In CCCCC/ LXXX.

Piazza Giustiniani

Dal colle del Brolio si dipanava, per sfociare in mare, la chiavica lunga, il rio da cui il toponimo della zona medievale.

A fianco del fossato si ergevano le mura della seconda cinta muraria cittadina (di cui si ha notizia) demolite, per riutilizzare i conci nella costruzione di nuove case, intorno all’anno 1000.

Nel XIV secolo, con la definitiva copertura della chiavica e con l’abbattimento delle ultime abitazioni in legno, la contrada cambiò completamente assetto.

Fu allora che la nobile famiglia dei Giustiniani iniziò qui la costruzione dei propri sontuosi palazzi.

Allargò, sul tracciato del vecchio rivo, il caruggio che divenne così ampio da costituire la più importante e frequentata arteria della città.

Fra questi il principale edificio è senz’altro quello di Marcantonio Giustiniani realizzato per volere del cardinale Vincenzo, generale dell’ordine dei domenicani, successivamente intitolato in onore dell’illustre doge veneziano.

L’imponente struttura in realtà è il risultato dell’accorpamento di due edifici medievali avvenuto a partire dal XVII sec.

Sulla sinistra della piazzetta è conservato ancora un brano dell’originale pavimentazione in laterizio.

All’esterno il palazzo presenta un semplice portale con cornice marmorea con arco a tutto sesto sormontato dallo stemma di famiglia.

L’elegante facciata è invece un tripudio di decorazioni architettoniche a fresco con disegnate le insegne del casato e busti sulle finestre.

Sul lato destro è incastonato il celebre leone di San Marco preso a Trieste nel 1380 dopo la battaglia di Chioggia.

“L’atrio con scaloni e ninfeo”.

Varcato il portone si apre un atrio colonnato con maestosa volta a padiglione:

quattro porte in pietra nera sovrastate da busti marmorei, realizzati da Bartolomeo Spazio e Daniele Solaro, rappresentano personaggi illustri della famiglia (il cardinale Benedetto,il doge Francesco Vincenzo, il poeta Giuseppe e il generale domenicano Vincenzo).

Immancabile sulla sinistra, a testimonianza dell’indiscusso prestigio del ramo genovese dei Giustiniani, un bassorilievo in pietra di San Giorgio e il drago, fra due stemmi.

Sulla destra si trova, allegoria dell’Abbondanza, un altro bassorilievo in marmo con cornucopie, genietti e festoni.

Sotto, a cementare il legame del sovranazionale casato con la città, è posta una piccola e recente edicola in ceramica della Madonna della Guardia.

Sul fondo dell’atrio si aprono due scenografici scaloni con al centro uno spettacolare ninfeo con la statua in groppa di un delfino e vasca decorata con stemma di famiglia e teste di leone.

Da qui si accede a quella che, all’angolo fra i due palazzi originari, era la loggia. Venne chiusa a metà del ‘800 in concomitanza con la sopraelevazione di due piani del palazzo.

Nella loggia con colonne doriche è collocato un secondo ninfeo senza vasca, con volta a conchiglia e un grande pesce in stucco.

La Grande Bellezza…

Foto di Bruno Evrinetti.

Una città difficile da capire

“Genova digerisce e supera tutte le sue crisi, attaccandosi tenacemente al presente. […] Città che sembra chiusa, incapace di slanci, e poi reagisce sempre nel modo più diretto alle occasioni decisive: supera il declino della Repubblica marinara mettendosi alla testa del movimento risorgimentale per l’unità italiana; supera la crisi della sua industria pesante protezionistica ritrovando l’efficienza con l’industria a partecipazione statale; al termine della guerra disastrosa salva il suo porto con una delle più riuscite insurrezioni partigiane d’Europa, costringendo — fatto unico nella storia — un’armata tedesca di 30 mila uomini ad arrendersi a un comitato di cittadini; questa città che oggi è un campo di lotte sociali in cui le forze opposte si fronteggiano con meno mediazioni e sfumature che altrove; questa città che è difficile da capire, perché parla poco, ma certo non gira a vuoto”.

Cit Italo Calvino( 1923 – 1985) romanziere.

Foto di Bruno Evrinetti.