“Il Monte della Morte”…

Alle spalle di Rapallo si staglia il Monte Letho, Monte Allegro poi, per contrazione, Montallegro. Si eleva a 612 metri sul livello del mare dominato dall’omonimo, al quale deve il nome, santuario.

Dagli atti medievali si evince infatti, non comparendo la nomenclatura “Monte Laethus” né “Mons Alegrus”, che l’origine più plausibile  dell’etimo sarebbe riconducibile proprio all’apparizione della Madonna al Chichizola.

Il tempio venne eretto per celebrare la visione della Vergine al devoto contadino avvenuta il 20 luglio 1557 su quello che, nelle antiche mappe, era noto come il Monte Letho, il “Monte della Morte” così chiamato per via delle letali imboscate che vi tendevano i briganti della zona.

Agli incauti viaggiatori di fronte alla scelta “o la borsa o la vita”, non restava altro che, per salvare la pelle, farsi depredare.

Ma molti secoli prima, al tempo in cui Rapallo, ostile a Roma, si chiamava Tigullia o Tigultia ed era la roccaforte della resistenza della tribù ligure dei Tigulli, fu teatro di un epico scontro.

Si narra che, proprio su questo monte vi fu una sanguinosa imboscata contro i romani, avvenuta nel 574 anno di Roma, in cui perse la vita addirittura il Console di Roma Quinto Petilio. A partire da quell’episodio il monte Letho tradotto in “Laetus”, (lieto, allegro) divenne “Letus “ (morte), il Monte della Morte.

A raccontarlo è lo storico Tito Livio che annota come il console Petilio pose il suo accampamento di fronte al monte Balista ed alla sommità del monte Leto nel punto in cui, grazie ad una dorsale, si congiungevano l’uno con l’altro. Dove la storia perde le tracce, il mito si sa, intesse la sua trama.

Qui, secondo la leggenda infatti, avrebbe avuto luogo lo scontro dove persero la vita 500 valorosi guerrieri liguri e circa 2500 soldati romani, compreso, appunto, lo stesso console Petilio.

La battaglia si sarebbe svolta nel 574 ab urbe condita che corrisponde al 179 a.C. dell’era cristiana.

Se sulla veridicità dell’attacco non vi sono dubbi, non tutti gli storici concordano sulla località; secondo alcuni studiosi la scena della carneficina si sarebbe svolta in realtà sull’Appennino, al confine tra Liguria e Toscana.

Monte Lieto, Allegro per gli antichi, poi Leto, della morte dal tempo dei Romani fino ai briganti medievali, di nuovo Allegro, anzi Montallegro per i fedeli cristiani.

“L’oro a Genova viene sepolto”…

“Monete d’oro”.

A testimonianza del prestigio e delle ricchezze accumulate dalla Superba in seguito alla scoperta dell’America e, soprattutto, in virtù dell’alleanza stipulata con i reali di Spagna, in tutte le corti si diffuse questo assai pragmatico modo di dire:

“ (l’oro) nasce onorato nelle Indie (occidentali)
da dove la gente lo accompagna
viene a morir in Spagna
ed è seppellito a Genova.

Un’altra versione più sintetica rimanda allo stesso concetto:

“(l’oro) nasce in America, cresce a Valencia, viene sepolto a Genova”.

“Un’ immagine tardo cinquecentesca di Siviglia adagiata sul Guadalquivir”.

I Doria, gli Spinola e i Centurione furono fra i principali sostenitori finanziari dell’impero di Carlo V e delle sue relative campagne militari.

Nel “Secolo dei Genovesi” costoro per  fama, prestigio e potenza  si posero sullo stesso influente piano dei grandi banchieri sassoni, ebrei, nordici e tedeschi come i ricchissimi Fugger e Welser, tessendo le fila dell’economia mondiale del loro tempo.

“La Torre invisibile”…

La famiglia dei Piccamiglio originaria della Germania, all’incirca dall’anno 1000, si trasferì sui lidi della nostra città. I loro membri fecero fortuna con il commercio e la navigazione e ricoprirono svariati ruoli ed incarichi di prestigio. Ad esempio nel 1344 Corrado assunse il titolo di “almirante” per il re di Cipro. Nel 1414 formavano uno dei 74 alberghi, l’istituto che sarà poi rinnovato e razionalizzato (ridotti a 24) nel 1528 da Andrea Doria. Da quel momento in poi, ascritti, entrarono nell’orbita dei Calvi. Si estinsero poi nel corso dei secoli ma del casato non se ne è perso il ricordo grazie alla torre superstite che si trova in Via del Campo lato mare, impostata sull’arcata che introduce in Vico San Marcellino.

“La Torre dei Piccamiglio ancora oggi svetta sui tetti della Ripa maris”. Foto di Leti Gagge.

Alta circa 38 metri suddivisi in otto piani, di cui i primi cinque in pietra di Promontorio, in laterizio gli ultimi tre, fu costruita a difesa della sottostante chiesa di San Marcellino e delle numerose proprietà famigliari nel quartiere.

In realtà quasi da subito la torre più che militare, ebbe funzione residenziale. Secondo la storiografia ufficiale venne edificata nel 1437 dall’architetto Giovanni Zerbi. Studi più recenti, basati sull’analisi “mensiocronologica” dei laterizi, hanno però evidenziato come la datazione più probabile sia duecentesca, compresa fra il 1260 e il 1280 e, quindi nel ‘400, solo ristrutturata.

“Primo piano della torre”. Foto di Leti Gagge.
“Sempre la torre da un altro punto di vista”. Foto di Leti Gagge.

Oggi risulta inglobata nei palazzi adiacenti e costituisce tipico esempio di quelle meraviglie nascoste che a Genova si possono ammirare solo camminando con il naso rivolto all’insù.

Osservandola da Vico San Marcellino si possono comunque notare l’arco a sesto acuto in pietra, i fregi marmorei del sottotetto, le finestrelle con cornice a sesto tondo in laterizio della torre e le tre relative scenografiche merlature che includono il fastigio.

“Edicola di Madonna con il bambino in Vico San Marcellino”.

Incastonata sotto l’arco si può infine ammirare una Madonna col Bambino. Un bassorilievo in pietra nera di Promontorio per cui lo scultore ha modellato un tempietto classico con timpano triangolare e fregi.

La torre, proprio come Genova, non si mostra a tutti. La trovi solo se la cerchi.

… Quando c’erano la Stella e la Strega…

Quando arrivando dal porto, all’altezza della Rotonda di Via Corsica, incontravi la batteria e i bagni della Cava… quando, proseguendo, c’era la batteria della Stella disarmata nel 1883 e riadattata a faro e, subito dietro, la batteria e i bagni della Strega… quando al posto della sopraelevata c’era l’Istituto Elioterapico destinato ai bambini affetti da rachitismo.

“I bagni della Strega con la struttura dell’Istituto elioterapico.” Cartolina del 10 settembre 1957 tratta da Genova Collezioni.
La Circonvallazione vista dal mare. Al centro, sotto la Rotonda di Carignano la Cava, mentre a destra il “poggio della Giovane Italia” si nasconde timido fra la vegetazione. In fondo in basso la Batteria Stella sostituita dal Faro che fungeva da spartiacque con i bagni della Strega fuori dall’inquadratura”.

Lo stabilimento balneare venne fondato nel marzo del 1857 su iniziativa di Gio Batta Vallebona  che riuscì ad ottenere, dalle Dogane e dai vertici delle autorità militari, i relativi permessi.

Dismesso nei primi anni ’60 del secolo scorso in concomitanza con la costruzione della Sopraelevata iniziata nel 1964, per circa cent’anni, è stato un punto di riferimento della balneazione cittadina e dei ricordi dei nostri nonni.

… Quando c’era la Cava…

Quando la zona si chiamava così per essere stata scavata a più riprese con lo scopo di fornire materiale per la costruzione del Molo Vecchio e delle mura versante mare… quando, ricavatone un enorme spiazzo, veniva utilizzata per eseguire le sentenze capitali emesse nella chiesa di San Giacomo, detta degli Impiccati… quando, nel ‘800, venne adibita a cimitero di smaltimento per le cicliche vittime di colera e dotata di una agguerrita batteria di cannoni come deterrente per i nemici…

“La batteria della Cava nel 1880”. Cartolina della Collezione di Stefano Finauri.

quando nel 1849 da queste stesse postazioni i ribelli contro l’oppressore sabaudo spararono contro i piemontesi asserragliati presso le batterie di San Teodoro e della Lanterna… quando, poco dopo, divenne cimitero per Ebrei e Protestanti e, con la costruzione della moderna Circonvallazione a mare e del Poggio della Giovine Italia, popolare stabilimento balneare… quando i suoi scogli fungevano da appoggio ai piloni dell’avveniristica Telfer costruita per l’Esposizione Internazionale del 1914… quando la sopraelevata non aveva ancora, per facilitare i nostri spostamenti, cancellato quel tratto di costa che proseguiva fino alla Foce con i bagni e le batterie della Stella e della Strega

“I bagni della Cava nel 1914 con i piloni e le rotaie della Telfer”. Cartolina della collezione di Stefano Finauri.

La Prescinsêua…

La prescinsêua o quagliata genovese è un formaggio a pasta molle dal gusto fresco e acidulo. Secondo una convincente spiegazione dello storico della tradizione gastronomica ligure Franco Accame, il nome  trova le radici nell’antico termine “presame” (in dialetto  “prezû”) che indica il caglio, sostanza che si utilizza da sempre per far coagulare il latte ed ottenere il formaggio.

Per secoli è stato utilizzato per preparare le “gattafure” le torte salate, antenate di quelle di verdure, in particolare della pasqualina, della focaccia al formaggio e dei barbagiuai (ravioli di zucca fritti tipici della Val Nervia e di Ventimiglia).

Le sue origini sono antichissime come testimoniato da alcuni documenti d’archivio risalenti al 1200-1300 che la localizzano nelle zone di Noli ed Albenga; quindi possiamo considerare la Prescinsêua un prodotto non solo del Levante, come si è soliti pensare, ma pure del Ponente ligure, dove però nel corso dei secoli se ne è perso l’uso.

Sempre da documenti d’archivio emerge che in antichità la Prescinsêua veniva fatta sia dolce che agre. E’ sempre stata alquanto apprezzata, basti pensare che intorno alla metà del ‘400 il medico genovese Ambrogio Oderico suggeriva la “prescinsola”, in quanto formaggio leggero e digeribile; inoltre una legge del 1413 la catalogava come possibile dono dei Genovesi ai Dogi.

“Si ottiene lasciando riposare in una pentola per 48 ore 2 litri di latte fresco”. Dopodichè il caglio coagula il latte”.Foto di Rossella Bellone.
“Trascorso il tempo previsto si prende un 1/4 del latte versato (mezzo litro) nella pentola e portato fino a 40-50 °C”. Foto di Rossella Bellone.
“Si aggiungono 5 grammi di caglio e amalgamandolo con il latte. Poi si lascia riposare il tutto per 4 ore”. Foto di Rossella Bellone.

La Prescinsêua probabilmente nacque dalla necessità di utilizzare il latte non più fresco e quindi già acidulo facendolo cagliare; oggi viene prodotta rispettando le norme igienico-sanitarie vigenti con l’impiego di fermenti lattici selezionati per conferire il caratteristico sapore.

“Asini ed enigmi”…

Parecchi sono i misteri e le curiosità legate alla cattedrale di San Lorenzo; dai sarcofaghi di reimpiego e dalla scacchiera incastonata sul portale di San Giovanni, al cagnolino scolpito accanto al portone destro; da altre tombe murate sulla torre campanaria a quella pensile, sul lato di San Gottardo, di Antonio Grimaldi;  dai leoni del Rubatto alla statua dell’Arrotino.

“Portale di San Giovanni”.

Numerose poi sono le lapidi, le simbologie e gli animali di diverse fogge, reali e di fantasia, rappresentati: aquile, cani, cavalli, leoni, pantere, tori, uccelli vari ed esotici, colombe, elefanti, serpenti, cervi, capre, conigli, lepri, cinghiali, falconi, pavoni, un vero e proprio zoo di marmo e ancora creature fantastiche sia zoomorfe che antropomorfe, buoi  e leoni alati, grifoni, draghi, sirene, arpie, chimere, centauri, leviatani, asini.

Quest’ultimo animale è scolpito sul portale di san Gottardo, assistito da un cane, mentre suona l’arpa, immagine allegorica dei giullari al servizio dei potenti e dei ruffiani di corte.

“Il braccio con la croce”.

Curiosa poi, lì vicino a pochi passi, la tavella marmorea che ritrae un braccio teso e una piccola croce a significare come la cattedrale appartenesse, fatto assai singolare e inusuale, al libero Comune di Genova e non alla Curia.

“La Triplice cinta”. Foto di Leti Gagge.
“Tomba in arcosolio accanto al portale di S. Gottardo”.
“Il portale di San Gottardo”.

Infine il triplice quadrato, detto “triplice cinta” posto in tre posizioni diverse (il primo sullo scalone principale, il secondo vicino al leone sinistro scolpito dal Rubatto, il terzo su uno dei gradini che conducono, nell’omonimo portale, al battistero di San Giovanni) che richiama il gioco del “filotto”. Per taluni storici sarebbero segni legati alla simbologia templare poiché rappresenterebbero l’orientamento dell’uomo nello spazio e l’opposizione della terra e del cielo, alla stessa maniera di un altro fondamentale simbolo esoterico, il “centro sacro”. Certo la presenza templare in Cattedrale è ben attestata nei secoli. A tal proposito basti ricordare come, nel  Medioevo, dodici cavalieri sul modello di quelli di Re Artù e dei discepoli di Cristo, erano preposti alla custodia del tesoro e del Sacro Catino.

“La tomba pensile di Antonio Grimaldi che fino al 1895 si trovava nel convento di San Giovanni di Prè”.

Che si tratti di un innocente passatempo o di un ben più profondo significato allegorico legato ai Templari, la questione rimane aperta.

Nel frattempo lo zoo a cielo aperto da secoli inscena il suo fantasioso spettacolo, quasi  rappresentatasse la celebre filastrocca per bambini, “L’Arca di Noè” il cui ritornello recitava:

Ci son due coccodrilli
ed un orango tango,
due piccoli serpenti
e un’aquila reale,
il gatto, il topo, l’elefante:
non manca più nessuno;
solo non si vedono i due liocorni.
…. e intanto l’asino continua a suonare con la sua arpa, tutta un’altra musica.

 

“La Madonna imprigionata”…

In Piazza del Ferro, all’angolo con Vico Spada, sul retro del palazzo di Pantaleo Spinola (Via Garibaldi 2) un’edicola di Madonna col bambino del XVII sec. La semplice nicchia è chiusa da un’invadente grata di ferro addobbata con un mazzetto di fiori. All’interno la statua marmorea della Vergine con in braccio il bambino benedicente.

L’origine dell’etimo che da origine alla piazza è di natura incerta. Secondo alcuni storici deriverebbe da una famiglia Ferro che abitava la piazza, secondo altri dal nome di un’antica osteria. Molto più probabilmente invece discenderebbe, dai depositi di metalli e dalle botteghe dei fabbri che gravitavano nella zona.

“Il palazzo curvo al civ. 3 di Piazza del Ferro”.

Singolare il palazzo al civ.3 con il fronte curvo a seguire il dislivello del terreno. Da qui iniziava la salita che conduceva al Castelletto.