L’Ultima Cena e il cardinale

Nella navata destra della Cattedrale di San Lorenzo si trovano, a pochi centimetri l’uno dall’altro, due splendidi capolavori.

Il primo è il monumento funebre del cardinal Pietro Boetto, realizzato nel 1949 dallo scultore Guido Galletti.

L’alto prelato genovese si era distinto nella trattativa della resa nazista avvenuta nella sua residenza di Villa Migone nell’aprile del 1945.

Inoltre il cardinale si era attivato, aderando alll’associazione clandestina Delasem, per aiutare gli ebrei a sfuggire dal regime nazista. Per questa sua attività meritoria l’arcivescovo di Genova è stato nominato”Giusto fra le Nazioni” ed è uno dei soli quattro membri del clero che in Italia hanno ricevuto questo autorevole riconoscimento.

Boetto morì il 31 gennaio 1946 in seguito ad una crisi cardiaca ed ebbe giusta sepoltura con il massimo degli onori nel principale tempio cittadino.

L’epigrafe commemorativa alla base del sarcofago recita:

PETRUS CARD. BOETTO S.J. ARCHIEP. GENUEN. CIVITATIS DEFENSOR 1871-1946.

Con la sua scomparsa ebbe inizio l’epoca del suo successore Giuseppe Siri il cui mandato fu il più lungo, durato ben 41 anni fino al 1987, della storia della diocesi genovese.

A realizzare la scultura fu l’artista celebre, fra le sue tante opere, per il monumento subacqueo del Cristo degli Abissi collocato nei fondali davanti a San Fruttuoso.

Ma lo stupore non finisce qui perché alzando lo sguardo dietro al monumento si rimane estasiati dalla bellezza dell’Ultima Cena di Lazzaro Tavarone.

L’affresco dipinto nel 1626 in origine si trovava nel refettorio dell’ospedale Pammatone e venne trasferito in cattedrale quando il nosocomio, nel dopoguerra, venne demolito e smantellato.

Fra le innumerevoli opere d’arte di questo straordinario pittore basti ricordare il – a tutti familiare – prospetto di Palazzo San Giorgio decorato con le effige dell’omonimo santo.

“La Guerra è la lezione…

… della Storia che o popoli non ricordano mai abbastanza”.

In Corso Aurelio Saffi, superato il palazzo della Questura, s’incontra un particolare ed evocativo edificio dello stesso stile che rimanda all’architettura razionalista del ventennio fascista: si tratta infatti della costruzione a tutti nota come “La Casa del Mutilato” eretta nel 1937 dall’architetto Fuselli ed inaugurata nel maggio dell’anno successivo alla presenza del Duce in persona (durante quella stessa visita genovese inaugurò anche l’ospedale pediatrico Giannina Gaslini).

“Discorso d’inaugurazione del Duce nel Maggio 1938”

La struttura era stata concepita per ospitare l’Associazione Nazionale Mutilati ed Invalidi di Guerra ma in realtà, come ci ricordano le varie targhe affisse all’ingresso, è stata sede anche di: Associazione nazionale combattenti e reduci, Associazione nazionale mutilati in servizio, Associazione nazionale famiglie caduti e dispersi in guerra, Associazione nazionale vittime civili di guerra, Associazione nazionale Cavalieri dell’ordine di Vittorio Veneto, e Anpi.

Soldati repubblichini e partigiani in qualche modo uniti, purtroppo, dalle brutture della guerra, hanno trovato asilo sotto lo stesso tetto. Con il trascorrere degli anni certi avvenimenti sono caduti nell’oblio e la struttura ha mutato pelle passando dalla vocazione sociale e civile a quella culturale prima e commerciale poi.

“Le ben delimitate decorazioni esterne”. Foto di Leti Gagge.

Dentro alle sale affrescate da Giuseppe Santagata e illuminate dalle sue suggestive vetrate si sono succeduti un cinema il Ritz, un noto Jazz Club il Lousiana, e oggi un risto pub.

“Ingresso della Casa del Mutilato”. Foto di Leti Gagge.

Io da ragazzo abitavo nella stessa via e il palazzo faceva parte del mio tragitto quotidiano verso la scuola da me frequentata, il Liceo D’Oria. Ricordo che dell’edificio mi avevano colpito diversi aspetti: il suo disegno a bande marmoree bianco nere proprio come le chiese o i palazzi delle antiche e nobili famiglie genovesi, il primo.

La Casa del Mutilato infatti è suddivisa in due ali di cui la prima caratterizzata dall’alternanza del marmo bianco di Carrara e di quello scuro di Levanto, bianca monocroma, l’altra.

Sul cornicione della prima è scolpita la frase: “Il sacrificio è un privilegio di cui bisogna essere degni”.

“La statua della Vittoria di Guido Galletti”. Foto di Leti Gagge.

“La statua vista da un’altra prospettiva”. Foto di Leti Gagge.

La presenza di due statue una delle quali, la seconda, esposta quasi in disparte. Se infatti la dea alata della Vittoria armata di spada di Guido Galletti, sorveglia l’ingresso principale, quella di Eugenio Baroni (in realtà un bozzetto) è relegata di lato.  Una scultura quest’ultima rappresentante il Monumento al Mutilato dedicata a tutti i caduti della Grande Guerra che immortala una scena dal significato assai tragico: un fante esausto sorretto da una parte da una magra ed anziana signora incappucciata e dall’altra da un soldato che gli indica con un braccio mutilo di mano, l’avvenire di sofferenza che ha davanti.

“Il complesso scultoreo del Mutilato di Eugenio Baroni”. Foto di Leti Gagge.

“Primo piano delle statue in cui risaltano i volti allucinati”. Foto di Leti Gagge.

“Cannone della Grande Guerra”. Foto di Leti Gagge.

A questa statua è legato anche un piccolo ricordo personale che riguarda mio nonno materno insieme al quale, a volte, mi soffermavo ad ammirane le fattezze. Dietro di essa c’era un grande cespuglio di alloro dal quale raccoglieva le foglie e qualcuna, oltre che finire meno eroicamente nell’arrosto o nel polpo della nonna, la deponeva sul basamento. Non c’era bisogno di parole o spiegazioni del mio avo per capire l’intensità che quell’immagine sapeva sprigionare.

Infine la terza, la più importante, la scritta, o meglio il motto scolpito nella facciata, tra due teste di medusa che recita “La Guerra è la lezione della Storia che i popoli non ricordano mai abbastanza”. Un monito concepito dal presidente dell’Associazione Mutilati ed Invalidi di Guerra Carlo Delcroix.

Una lezione valida e attuale ancora oggi che, Benito Mussolini, non pago delle nefaste campagne colonialiste in Africa, evidentemente non sarebbe stato in grado di fare propria.

Di lì a poco infatti avrebbe ricondotto nuovamente il Paese in guerra.

“Le spade nel pugno, gli allori alle chiome…”

… recita uno dei versi dell’Inno di guerra di Garibaldi “All’armi! all’armi!” scritto da L. Mercantini. Chi più di Gerolamo “Nino” Bixio personifica quest’immagine?

Nel cuore del quartiere di Carignano, in Piazza R. Piaggio, si trova il monumento innalzato al generale garibaldino. Occultato alla vista, lato Via Corsica ricoperto da frasche, come oggi costume diffuso, custodito nel più completo abbandono, fra panchine e ringhiere divelte, fu inaugurato nel 1952, opera della maestria di Guido Galletti.

La statua marmorea gli venne commissionata per sostituire quella primitiva in bronzo, eseguita nel tardo ‘800, dallo scultore Enrico Pazzi, andata distrutta durante il bombardamento del 1940.

Il braccio destro di Garibaldi, avventuroso marinaio e coraggioso soldato, venne immortalato nel fiero atto di sguainare la spada.

Lo scultore londinese di nascita, ma genovese d’adozione lasciò altre preziose testimonianze della sua arte in città e in Liguria quali, ad esempio, “Il Cristo degli Abissi di Camogli”, la statua del “Padre Santo” delle Grazie, quelle rappresentanti “L’Ardire” sopra la galleria Bixio del Portello e il monumento funebre del Cardinale Pietro Boetto nella Cappella di S. Giovanni in cattedrale.

“Cartolina del 1907 che illustra la statua scolpita da Enrico Pazzi”.

I figli di Genova meriterebbero maggior rispetto e considerazione, per lo meno dai loro concittadini!

Foto di Bruno Evrinetti.

Storia di altri guardiani…

All’uscita della galleria Nino Bixio, lato di Piazza del Portello ci sono altre due statue, simboleggianti “L’Ardire” di Guido Galletti e “La Prudenza” di Luigi Pasciuti”.
Il celebre artista genovese che, fra le altre, scolpì il Cristo degli Abissi di Camogli, il Padre Santo delle Grazie e il monumento funebre del Cardinale Boetto nella Cappella di S.Giovanni in cattedrale.

"L'Ardire di Guido Galletti del 1929".
“L’Ardire di Guido Galletti  e la Prudenza di Luigi Pasciuti del 1930”.

All’imbocco della galleria Giuseppe Garibaldi, direzione Piazza della Zecca, sono invece disposte a protezione, armate dalla spada della fede, le statue dei due Patroni della Città:
A sinistra S. Giovanni Battista e a destra S. Giorgio, opere di Antonio Maraini.
I santi in paradiso… non ci mancano.

galleria garibaldi
“A sinistra statua del Battista, a destra di S. Giorgio, entrambe del Maraini 1930.”