Il Salone del Maggior Consiglio

La versione originale della sala di Palazzo Ducale in cui si riunivano i 400 nobili che decidevano dei destini della Repubblica è andata distrutta dopo il furioso incendio avvenuto nel 1777. In quell’occasione si persero gli affreschi di Marcantonio Franceschini e del Solimena, e le opere di Tommaso Aldobrandini. Sfarzosamente riedificata in un tripudio di stucchi e arredi neoclassici su progetto del Cantoni viene decorata nelle lunette con “la Battaglia della Meloria” del David e con “Leonardo Montaldo libera Jacopo da Lusignano re di Cipro” del Tagliafichi. La decorazione della volta invece venne affidata al Tiepolo che la affrescò con le “Glorie della Famiglia GiustinianI”. Nel 1875  l’opera del pittore veneziano venne sostituita con “l’allegoria del Commercio dei Liguri”, arte in cui i nostri avi da sempre avevano dimostrato di eccellere, di Giuseppe Isola.

Sullo sfondo del salone dove un tempo si trovava il trono del Doge si possono ancora ammirare le due splendide statue della Giustizia e della Fortezza scolpite rispettivamente da Nicolò Traverso e Francesco Maria Ravaschio.

La Grande Bellezza…

La Madonna degli Afflitti

All’angolo fra Via Giustiniani 29r e Via Chiabrera 19r è incastonata l’edicola della Madonna degli Afflitti. Il Medaglione marmoreo è secentesco mentre l’edicola in stucco è ottocentesca.

Agli angoli quattro grandi riccioli incorniciano la Vergine e reggono a coronamento una conchiglia con teste di cherubini, fregi floreali e il monogramma di Maria.

Il cartiglio ormai abraso reca l’epigrafe: “Consolatrix Afflictorum 1804″.

Censita dall’Alizeri  anche un’altra scritta oggi rimossa che recitava: ” Cui Morbum Cholericum Arcebat / Deiparae Virgini / Hoc Insignis Grazie Monumentum / Instaurabant / Salvati an. 1855, a ricordo della nefasta epidemia di colera che colpì la città in quell’anno.

… Quando Manuel Fangio era al volante…

Questo pacioso signore con il gomito fuori dalla portiera, in dolce e sorridente compagnia, sorpreso a scorrazzare lungo l’Aurelia è nientepopodimeno che Juan Manuel Fangio, il più grande pilota automobilistico della storia. Il penta campione del mondo aveva partecipato a fine anni ’40,  prima ancora che venisse organizzato il campionato di Formula Uno, a diverse gare a ruote scoperte compreso il Gran Premio di Sanremo. Fu così che il fuoriclasse argentino ebbe l’occasione di conoscere ed apprezzare le nostre riviere, in particolare Santa Margherita e Portofino a levante e Sanremo e Bordighera a ponente, luoghi che continuò a frequentare anche a carriera conclusa.

Edicola sotto Porta Soprana

Sotto la torre nord di Porta Soprana è affissa l’edicola della Madonna della Guardia datata XVII – XVIII sec.

Nonostante l’evidente incongruenza con lo stile delle mura medievali del Barbarossa il tabernacolo barocco in stucco policromo fa la sua dignitosa figura. Sotto il tettuccio poco profondo la tradizionale raggiera dello Spirito Santo con il monogramma di Maria. Il dipinto con la Vergine e il Benedetto Pareto inginocchiato, di successiva datazione, di modesta fattura e di scarso valore, è incorniciato con classici motivi floreali.

Madonna della Misericordia in San Lorenzo

Sorveglia l’abside destro della Cattedrale verso Via San Lorenzo l’edicola della Madonna della Misericordia del XVII-XVII sec.
In cima due angeli reggono la raggiera con al centro una colomba che simboleggia lo Spirito Santo.
La statua della Madonna incoronata con ai piedi il Beato Botta è custodita all’interno di un raffinato tabernacolo protetto da un vetro.
Alla base l’epigrafe recita: “Avita Dei Param Religio Primum Decus Prolatae Viae”.

Il Piano di S. Andrea

Il piano di S. Andrea è la zona dell’omonimo colle sul quale si staglia Porta Soprana che, prima del 1936 quando la montagnola venne sbancata, dominava dall’alto i quartieri di Ponticello, dei Lanaiuoli, della Marina, dei Servi e della Madre di Dio.

Sullo spiazzo si affacciano la Turris Matonorum, un’antica duecenteca torre della famiglia Embriaco e Vico delle Carabaghe con le sue curiose storie di case chiuse e macchine da guerra. Da qui si dipartono verso il cuore della città vecchia i caruggi di Via Ravecca, Via della Porta Soprana e Salita del Prione.

La Grande Bellezza…

Foto di Leti Gagge.

Le ceneri del Battista

Le ceneri del Battista giunsero a Genova nel 1098 portate in patria da Guglielmo Embriaco di ritorno dalla presa di Cesarea durante la prima Crociata. Il conquistatore di Gerusalemme infatti le aveva prese in un convento di monaci greci presso la città di Myra in Licia in Asia Minore (attuale Turchia).

In realtà secondo quanto tramandato da Jacopo da Varagine nella sua “Legenda Aurea” obiettivo dei genovesi, anticipati di circa un decennio dai baresi, sarebbero state le reliquie di San Nicola.

Narra difatti la leggenda che sulla via del ritorno la flotta genovese rischiò, a causa di una forte tempesta, il naufragio.

Solo quando i resti del Santo, precedentemente ripartiti fra le galee del convoglio su consiglio del prete di bordo, vennero riuniti sotto la custodia unica sulla capitana di Oberto Da Passano responsabile della spedizione, il mare si placò e i nostri eroi rimpatriarono sani e salvi.

L’Embriaco consegnò le spoglie di San Giovanni sulla spiaggia di Caput Arenae e le affidò, prima di essere trasferite in Cattedrale, ai prelati di San Giovanni di Prè (la futura Commenda).

“Le sacre ceneri del Precursore

dell’Oriente a Genova trasportate

a questa spiaggia di Capo d’Arena,

accorsa l’intera popolazione della città

si vide l’anno di Gesù 1098”.

Così recitava l’epigrafe della lapide marmorea affissa fino al 1840 nell’Oratorio di San Giacomo al n. 36 di Piazza della Commenda e successivamente trasferita in San Bartolomeo dell’Olivella nel quartiere del Carmine.

“Il quadro del 1655 di G.B. Carlone nella Cappella dogale di Palazzo Ducale. Dettaglio della consegna delle ceneri”.

Da allora ogni 24 giugno, retaggio di miti pagani legati al vicino solstizio estivo, mischiati con la dottrina cristiana, il Santo viene celebrato portandone in processione le reliquie. In quell’occasione in suo onore si bruciano falò con lo scopo di illuminare, chiara reminiscenza pagana, le tenebre per esorcizzare streghe e demoni.

Un culto quello del Precursore buono per tutte le occasioni, in particolare come poliedrico antidoto contro le calamità naturali quali terremoti, pestilenze, carestie, fortunali e disgrazie varie. In queste nefaste circostanze narrano infatti gli Annali che i genovesi lo accompagnavano in processione sul luogo della sventura e miracolosamente il mare si placava, l’incendio veniva domato, la carestia scongiurata e la peste guarita.

“La Cappella di San Giovanni all’interno della cattedrale di San Lorenzo”.
“L’Arca del Barbarossa”.

Le ceneri di San Giovanni sono conservate in Cattedrale nell’omonima quattrocentesca Cappella e venivano ricoverate all’interno di una preziosa cassa detta del “Barbarossa” dal nome dell’imperatore alemanno che nel 1178 ne aveva fatto dono alla “Dominante”, la Signora del Mare. Nel ‘400 venne commissionata dal Capitolo di San Lorenzo la sfarzosa Arca Processionale ancora oggi in uso, capolavoro di alta oreficeria tardo gotica europea.

“L’Arca processionale quattrocentesca”.
“Il Piatto in calcedonio”.

Le preziose  Arche e il piatto in calcedonio che avrebbe accolto la testa del Santo, donato da Papa Innocenzo VIII, sono solo alcuni dei sensazionali pezzi custoditi all’interno della cripta del Tesoro di San Lorenzo.

In Copertina: l’Arca contenente le ceneri del Battista in processione lungo via San Lorenzo.

Edicola dei Portantini

In Piazza San Luca si nota la maestosa settecentesca edicola della Madonna col Bambino e i Santi commissionata dalla Società dei Portantini. Sulla cornice poggia un trionfo di cherubini e putti che attorniano la raggiera con la colomba simbolo dello Spirito Santo.

Alla base l’epigrafe recita: ” Quasi Rosa Plantata / Super Rivos Aquarum Fructificabit / Eccll. 39. 1735.

Il dipinto ad olio all’interno del tempietto è stato recentemente restaurato .

Edicola in Via San Luca

La statua della Vergine che reca in braccio il Bambinello, per altro mutilo di un braccio, è di pregevole fattura Ai lati del tempietto in marmo policromo due cariatidi e alla base un cherubino alato che reca una stemma abraso. Sul cartiglio in alto l’epigrafe: “Ut Appareret Eis Via”. Edicola di incerta datazione.