L’Eden è qui… a Genova.

La trasmissione di ieri “Eden un pianeta da salvare” condotta da Licia Colò sulla Sette ha avuto come protagonista in prima serata Genova.

Nel complesso la narrazione non mi è dispiaciuta e l’ho trovata, in linea con il target ecologico del pubblico a cui si rivolge, senza infamia e senza lode.

Forse proprio per via di questo aspetto “green” si è dato ampio risalto alla pista ciclabile ed al trasporto pubblico, temi che in città non riscuotono proprio un consenso bulgaro.

Da Boccadasse con i suoi inconfondibili scorci e relativi racconti legati ai cantautori si è passati poi alle affascinanti atmosfere del centro storico con il suo inestricabile dedalo di caruggi e la magia delle sue botteghe storiche rappresentate, queste ultime, dalla confetteria più antica d’Europa, quella dei Romanengo.

Pazienza se non si è scollinato Capo Santa Chiara per mostrare un altrettanto meraviglioso e incorotto borgo marittimo come quello di Vernazzola.

Un plauso alla buona creanza di aver interpellato, per spiegare ai foresti la meraviglia dei Rolli, il Prof. Giacomo Montanari che ne è l’appassionato curatore.

Il viaggio è poi proseguito alla Spianata di Castelletto da dove, in pieno centro città, è possibile ammirare uno dei panorami più suggestivi della Superba.

Finalmente si è spiegato ai foresti che, come cantavano Fossati e De Andre’:

“Chi guarda Genova sappia che Genova
si vede solo dal mare”

E che l’altra chiave di lettura è quella della verticalità. Pazienza se una volta preso l’ascensore di Castelletto non si è ricordato che, proprio con quell’ascensore, Giorgio Caproni avrebbe voluto andarci in Paradiso.

Quel paradiso, ovvero quell’Eden, che Licia Colò rincorre nei suoi programmi, noi genovesi lo viviamo tutti giorni, privilegiati testimoni della sua incommensurabile bellezza.

La tappa all’Acquario è stata invece abbastanza scontata ma visto appunto il taglio naturalista del racconto, è comprensibile.

Così come comprensibile è stata la citazione di Colombo, la cui abitazione è stato omesso però essere un falso storico ad uso e consumo dei turisti.

Perdonata comunque per aver ribadito l’inconfutabile, documenti alla mano, genovesità dell’esploratore.

Giustificata invece, per via dell’importanza del museo stesso, la sosta al Gàlata, (non Galàta come erroneamente pronunciato) con tutto quel che riguarda la storia della navigazione e relativa testimonianza sull’emigrazione del Direttore Pierangelo Campodonico.

Dell’Antico Porto che poi in realtà è il Porto Antico si è raccontato del Bigo, dipinto solo come un ascensore panoramico senza spiegare cosa rappresenti (sistema di gru per la movimentazione delle merci sulle navi) e del sommergibile Nazario Sauro.

Pazienza se non si è parlato della Biosfera, dei Magazzini del Cotone, di quelli del Sale e dell’Abbondanza, della Città dei Bambini, del vascello pirata Neptune, della pista di ghiaccio in Piazza delle Feste.

Almeno la cinquecentesca porta alessiana del Molo Vecchio però due parole le avrebbe meritate.

Accenno che invece, per fortuna, è stato destinato alla banca più antica del mondo, quella del Banco di San Giorgio.

Interessante invece la bucolica escursione a Pegli nei giardini, di quello che è stato votato come il più bel parco d’Italia, di Villa Pallavicini.

Apprezzabile infine la scenografica chiosa sulle alture da uno dei sedici forti (Forte Begato) che fanno da corona alla città e alla secentesca cinta muraria delle Mura Nuove.

Insomma tutto sommato un gradevole spot pubblicitario che invita il turista a visitare la nostra città con l’augurio di comprendere perché noi genovesi la si ritenga la più fascinosa di tutte.

D’altra parte molti viaggiatori hanno professato la loro predilezione per Genova come ad esempio Cechov che nella sua commedia “Il Gabbiano” ci ha regalato questo inequivocabile dialogo:

Medvedenko: Posso chiedervi, dottore, quale città straniera vi è piaciuta di più?

– Dorn: Genova.

– Trepliov: Perché Genova?

– Dorn: Per le strade di Genova cammina una folla meravigliosa. Quando si esce, di sera, dall’albergo, tutta la strada è colma di gente. Poi te ne vai a zonzo, senza una meta, di qua e di là, a zig-zag, tra quella folla; vivi della sua vita, ti confondi a lei nell’anima; e cominci a credere che possa esistere una sola anima universale …

Genova è la città più bella del mondo”.

In Copertina: La conduttrice di “Eden” Licia Colò con sullo sfondo le imponenti torri di Porta Soprana.

… Quando Hunprey Bogart…

Quando a Genova, davanti a Porta Soprana, capitava di incontrare Humphrey Bogart e Lauren Bacall incuriositi dalla casa di Colombo, sommersi dalla folla e braccati dai paparazzi.

La Bacall infatti nel 1954 visitò la la nostra città in compagnia del marito che si trovava in Liguria per girare alcune scene, con la coprotagonista Ava Gardner de “La contessa scalza”.

“Era una casa”…

… molto carina. Senza soffitto senza cucina. Non si poteva entrarci dentro. Perché non c’era il pavimento. Non si poteva andare a letto. In quella casa non c’era il tetto. Non si poteva fare pipì. Perché non c’era vasino lì. Ma era bella, bella davvero. In via dei matti numero zero”… così recitava la prima strofa della celebre canzone di Sergio Endrigo. Per fortuna nella casa di cui vi voglio parlare c’è quasi tutto e risulta tuttora essere una delle attrazioni turistiche più gettonate della Superba. Sita proprio davanti allo scenografico ingresso di Porta Soprana, uno dei due principali varchi ancora esistenti delle Mura del Barbarossa, ecco la presunta Casa di Colombo.

Presunta si, perché secondo gli studiosi qui avrebbe abitato Domenico Colombo, padre del più celebre, a quel tempo giovinetto, Cristoforo. Si ipotizza di conseguenza che, insieme al padre, vi avrebbe dimorato anche il futuro esploratore che, all’epoca, avrebbe dovuto avere circa quattro anni.

“La casa di Colombo con i rampicanti che ne coprono le iscrizioni”. Foto di Leti Gagge.

Domenico infatti, a causa dei mutamenti politici avvenuti in seno al governo cittadino, aveva perso il suo tranquillo lavoro di custode presso la Porta dell’Olivella ed era stato costretto ad inventarsi un nuovo impiego. Si era quindi riciclato artigiano lanaiuolo e per praticare tale attività che, proprio nella contrada dei Lanaiuoli  presso Vico Dritto di Ponticello aveva il suo fulcro cittadino, vi si era trasferito.

Fra il 1455 e il 1470 l’antica dimora avrebbe dunque ospitato l’esploratore dove il padre, per arrotondare e riuscire a sbarcare il lunario, oltre ai tessuti, smerciava vini e formaggi.

“Cartina delle rotte percorse dall’esploratore durante i suoi viaggi nel nuovo continente”. Foto di Sergio Gandus.

“Il racconto del primo viaggio del 1492 tratto dai Diari di bordo”. Foto di Sergio Gandus.

Ai foresti lasciamo pure l’illusione di quel “presunta” ma in realtà, essendo l’abitazione originale andata distrutta nel maggio 1684, gli storici concordano nel decretarne la non autenticità. Insomma un “falso storico” acclarato.

Fu infatti il devastante bombardamento navale francese ordinato da Re Sole, Luigi XIV, a radere al suolo senza alcuna pietà la costruzione primitiva che era costituita da due o tre piani dei quali il primo adibito a bottega e gli altri due ad abitazione.

Nel ‘700 sulle macerie di quella originaria la casa fu ricostruita, più o meno fedelmente, nella versione che possiamo ammirare ancora oggi e nel corso dei secoli successivi venne ulteriormente modificata con la sopraelevazione di altri piani fino al raggiungimento dei cinque.

“Bassorilievo marmoreo che riproduce la caravella Santa Maria. Scultura fatta eseguire dal Capitano D’Albertis grande ammiratore dell’illustre predecessore”. Foto di Sergio Gandus.

Nel 1887 il Comune ne divenne proprietario impegnandosi, per fortuna, a preservarla dai futuri sconvolgimenti che avrebbero interessato la zona. Nel 1898 infatti le case di Vico Dritto di Ponticello vennero abbattute e con esse i tre piani posticci che, appunto, poggiavano sulle costruzioni limitrofe. Nei primi decenni del Novecento con la risistemazione del quartiere e, di fatto, la sparizione degli antichi borghi di Ponticello e del Morcento (attuale Via Ceccardi) la casa di Colombo è rimasta isolata e avulsa dal suo originale e vitale contesto.

Sul prospetto che oggi consideriamo principale campeggia la lapide marmorea sotto lo stemma cittadino protetto da due orgogliosi Grifoni che recita:

“Nulla Domus Titulo Degnior Paternis In Aedibus Christophorus Columbus Pueritiam Primamque Juventam Transegi”. “Nessuna casa è più degna di considerazione di questa in cui Cristoforo Colombo trascorse, tra le mura paterne, la prima gioventù”.

“Lapide che ricorda la dimora di Domenico e Cristoforo Colombo”. Foto di Sergio Gandus.

L’ingresso principale originale era invece posto verso il lato oggi occupato dal chiostro di S. Andrea la cui presenza in loco costituisce anch’essa, sebbene la conformazione sia assai suggestiva, un falso storico. Peccato perché l’immagine del futuro grande esploratore assorto sotto le colonne del chiostro del XII sec. intento nello studiare le sue ardite rotte era molto suggestiva.

“La Casa di Colombo orfana delle case di Vico Dritto di Ponticello a cui era addossata, in compagnia del Chiostro di S. Andrea sorvegliato dalle torri di Porta Soprana”. Cartolina primi decenni del ‘900 tratta dalla Collezione di Stefano Finauri”.

Le ormai millenarie pietre vennero salvate dall’architetto portoghese Alfredo d’Andrade che si adoperò per recuperarle.

Nel corso infine di un restauro condotto nel 2001 sono stati effettuati importanti ritrovamenti di carattere storico archeologico che hanno portato alla luce tracce di muratura di probabile origine romana e una canaletta medievale sotterranea per lo smaltimento delle acque, una sorta di primitivo impianto fognario. La gestione della casa museo è oggi affidata all’Associazione Culturale Genovese “Porta Soprana” che al suo interno ha predisposto un percorso didattico “sulla rotta”, è il caso di dirlo, dell’Ammiraglio.