L’origine del toponimo di Piazza e vico dell’Agnello rimanda alla presenza del bassorilievo che rappresenta l’Agnus Dei posto sopra il civ. n. 9.
L’agnello con il vessillo crociato rappresentava sia il Cristo Redentore che il potere genovese e per questo venne adottato come effigie sulle facciate di molti palazzi nobiliari.
Tale simbolo religioso e politico militare al contempo venne addirittura utilizzato nella seconda metà del XIII secolo come sigillo della Repubblica.
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In copertina: Piazza dell’Agnello. Foto di Leti Gagge.
La piazza deve il nome alla nobile famiglia dei De Marini che qui avevano le proprie dimore.
Ciò si evince dalle cronache della lotta intestina del 1398 tra guelfi e ghibellini in cui questi ultimi bruciarono oltre cinquanta case di cui quattro di proprietà, appunto dei De Marini.
Questo antichissimo casato trae origine da Marino, figlio di Baldo fu Guglielmo, direttamente da Ido Visconti.
Fra i suoi membri annovera Conti (di Gavi), Marchesi (Castelnuovo Scrivia), alcuni cardinali, diversi arcivescovi, numerosi senatori e un doge, Gio Agostino di Gerolamo.
Questa località fuori dalle mura del X secolo era identificata un tempo come contrada dei Marmi o marmorea poiché qui avevano sede i depositi del prezioso materiale appena sbarcato dal porto.
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In copertina: Piazza De Marini. Foto di Stefano Eloggi.
“Trent’anni fa era considerato un pittoresco ghetto con molti monumenti che ne costituivano la sola parte valida da salvare ed evidenziare demolendo il resto. Oggi proprio l’assieme è considerato monumento, da conservare nella sua quasi integrità, perché solo mediante l’assieme vengono trasmessi al contemporaneo i significati storici, artistici, ambientali, mentre alla mutilazione dell’assieme corrisponderebbe la perdita di molti dei significati. E questo si capisce proprio per la correlazione tra forma e contenuto, tra significante e significato”.
Cit Cesare Fera (1922-1995) architetto e ingegnere.
In copertina: tetti del centro storico. Foto di Stefano Eloggi.
Vico delle Fate in realtà fino al 1868 si chiamava vico della Stella. L’intitolazione venne cambiata per non confonderlo con vico Stella, il caruggio dedicato alla celebre famiglia di annalisti nel sestiere della Maddalena.
Guardando la foto a metà sulla destra s’intravede sul portone del civ. n. 3 una grande edicola in stucco, catalogata come Madonna col Bambino. Purtroppo il tabernacolo, gravemente danneggiato, è privo della statua che è stata rubata.
Si ipotizza che il toponimo delle fate sia stato ispirato, vista la presenza in loco delle case chiuse, in omaggio alle signorine che vi esercitavano il mestiere più antico del mondo.
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In copertina: Vico delle Fate. Foto di Grazia Musso.
“Va ciù unn-a grann-a de peivie che unn-a succa”. L’antico adagio la dice lunga sul valore che aveva il pepe nel panorama delle spezie.
Genova contese a lungo senza successo il monopolio del pepe a Venezia e, come si evince dal toponimo, qui stabilì magazzini e rivendite della preziosa spezia.
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Foto di Giovanni Cogorno.
Qui un tempo la contrada era tappezzata dagli orti di Banchi.
E’ lecito dunque pensare che l’origine del toponimo del Pomino, che per altro sfocia in Vico delle Mele, sia da ricondurre alla presenza in loco di qualche albero del succoso frutto.
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In copertina: Vico del Pomino. Foto di Giorgio Corallo.
Vico Vegetti si snoda in salita con il suo sinuoso percorso.
Pietra e mattonata rossa sono le tipiche caratteristiche della creuza genovese.
All’altezza del civ. n. 8 si nota un’arrugginita insegna, testimonianza di antichi artigiani, della Mutua Assistenza Lavoranti in legno.
Poco più sopra s’intravvede quel che resta della secentesca Madonna della Misericordia, un’edicola – purtroppo – priva della statua marmorea della Vergine, con il tabernacolo a tempietto in pietra nera.
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Foto di Leti Gagge.