La Genovese partenopea

A quando si parla di sugo e carne alla genovese s'intende il “Tuccu” con cui condire taglierini e ravioli.

A Napoli invece con la dicitura “alla genovese” si ci riferisce ad un condimento bianco a base di cipolle e carne di manzo o vitello con il quale si preparano gli ziti della tradizione napoletana.

Assai curiosa e dibattuta ne è la genesi: secondo alcuni “la genovese” sarebbe stata importata nella città partenopea da della Superba nel XIV o XV secolo al tempo della dominazione aragonese. Per altri la nascita sarebbe da relazionarsi invece al cognome “Genovese” (molto diffuso in Campania) o al soprannome “O Genovese” del suo presunto inventore.

Liberamente tratto dal sito “Storie di Napoli.it” riporto:

“La fonte più antica sulla Genovese risale al 1285, anno della prima pubblicazione de il “Liber de coquina“. Questo testo di napoletana, scritto in latino volgare e dedicato a Carlo II d'Angiò da un anonimo cortigiano, cita “De Tria Ianuensis” (Della Tria Genovese). Con il termine tria sembrerebbe che all'epoca si intendesse la . Per la prima volta con questa ricetta si parla di un sugo preparato con le cipolle e con la carne. 

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“La carne alla genovese”. Foto tratta dal sito “La Cucina di Napoli”.

Altri invece parlano di un cuoco del XV secolo famosissimo a Napoli con il nomignolo di “O' Genovese” come inventore di questo piatto.

Un'altra teoria sulle origini della Genovese si fonda sul fatto che a Napoli, nella zona portuale, esisteva una strada chiamata via dei Genovesi, perché pullulava di osterie e taverne gestite da ex marinai genovesi. Uno dei piatti che vi si poteva assaporare era una vivanda a base di carne che ancora oggi esiste a Genova. Si tratta di un pezzo di carne tagliato a grossi pezzi insieme a carota, sedano e cipolla detta “u Tuccu“. Si racconta, ma qui sforiamo nella leggenda, che tra i genovesi arrivati a Napoli a bordo del vascello “Superba” nel XVIII secolo, tra di loro, ci fosse un marinaio particolarmente abile in cucina che si inventò questa pietanza.

Infine nella prima versione del trattato “La Cucina Teorica Pratica”, pubblicato a Napoli nel 1837 a opera di Ippolito Cavalcanti, Duca di Buonvicino, della ricetta della Genovese risultano svariate vivande, tra le quali nessuna purtroppo assomiglia a un condimento per la pasta. Nella seconda variante del trattato, del 1839, quando si parla di  alla Genovese si nota un netto cambiamento. Da questo momento la Genovese ha assunto definitivamente la sua versione attuale, più napoletana che genovese”.

La preparazione è molto semplice ma il risultato è straordinario: si fa cuocere a fuoco lento per almeno due ore (più cuoce comunque meglio è) il girello (rotondino, megatello, lacerto, coscia rotonda a seconda delle regioni) in un classico soffritto di carote e sedano e, soprattutto, di abbondante cipolla, avendo cura di bagnarlo con brodo e vino bianco o rosso per non farlo restringere e asciugare troppo.

A testimonianza della probabile comune origine la carne della genovese alla napoletana, proprio come per il tocco genovese classico, si può aggiungere al sugo per condire la pasta insieme a pecorino o parmigiano, oppure si può gustare da sola come fosse un secondo.

In copertina: Ziti alla genovese. Foto tratta da chezuppa.com