Le Mura Nuove… prima parte…

… storia di un’impresa faraonica…

A seguito delle ripetute minacce di invasione perpetuate da Carlo Emanuele I di Savoia e da Luigi XIII di Francia i serenissimi decisero di dotare la città di una nuova cerchia di mura, rafforzando, dove opportuno quella esistente. Ad appena un anno dal fallito attacco del 10 maggio 1625 delle forze franco-piemontesi (durante il quale l’esercito sabaudo non riuscì a tener testa alla strenua resistenza dei valligiani polceveraschi al passo del Pertuso, (dove a ricordo dell’avvenimento fu in seguito eretto il santuario della Vittoria), il governo della repubblica diede il via libera all’opera, inaugurata con la posa della prima pietra, il 7 dicembre 1626.

A tutti fu chiaro quanto il vecchio sistema di difesa murario fosse ormai inadeguato ed insicuro. I Padri del Comune deliberarono così il nuovo, ambizioso e faraonico progetto delle Mura Nuove per la cui gestione venne creato l’apposito e omonimo magistrato.

Nonostante Il Doge Andrea Spinola avesse incaricato il nobile Giacomo Lomellini che, per tre anni, assolse con zelo il suo compito, inizialmente i lavori stentarono a prendere il via.

“Porta Pila si trovava nella posizione che oggi corrisponde all’incrocio fra Via Fiume e Via XX settembre”.

Rinnovato impulso e slancio scaturì dalla fallita congiura ordita dal Vacchero nel 1628. La nuova e quasi definitiva mappa sarà però approvata solo nel marzo del 1630 presentando ancora varie soluzioni aperte per il fronte del Promontorio presso l’attuale forte Tenaglia. L’incarico di dirigere i lavori della fabbrica venne affidato ad  Ansaldo De Mari e, Architetto Capo, investito il comasco Bartolomeo Bianco.

Venne messa in piedi, con la collaborazione di tutta la cittadinanza, una macchina organizzativa molto efficiente: furono istituiti i ruoli di “Soprastanti”, “Sindaco” e “Commissari”.

I primi avevano il compito di sorvegliare e giudicare i lavori dati in appalto alle varie imprese controllandone qualità e conformità. I secondi si occupavano di gestire le questioni legali ed amministrative inerenti al personale che, a vario titolo, lavorava nella “Fabbrica”,con i fornitori dei materiali e rispondevano per l’operato ai contribuenti dell’erario. I terzi eletti in 21 membri fra i nobili erano destinati ad altrettanti cantieri sparsi qua e là verificandone lo stato dell’arte”. L’opera venne suddivisa in 22 lotti.

“Porta Romana in San Vincenzo”.

I varchi di accesso vennero così stabiliti: Una porta principale sul Bisagno fra due baluardi, Porta Pila, una porta principale presso Capo di Faro, la Lanterna, un portello in Piazza degli Angeli, uno presso la chiesa di San Simone, uno presso la chiesa di San Bernardo superiore, un portello presso San Bartolomeo, un portello presso Porta Romana, un portello a San Lazzaro, un portello davanti ai giardini del Principe. Le vecchie porte di accesso al porto del Molo, Cattanei, Mercanzia, Reale, Spinola e Calvi, furono inglobate.

“Porta di San Bartolomeo sotto il castello Mackenzie”.

Persino il clero partecipò stipulando una polizza decennale per la contribuzione all’opera: 10 soldi per ogni mina di grano e 20 per ogni mezzarola di vino. Il perimetro delle nuove mura venne calcolato per una lunghezza di 49000 (circa 19 km) palmi ad un costo di 410000 scudi d’oro.

Per favorire il reclutamento della manodopera necessaria venne intimato ai consoli dei mestieri minori di individuare il numero di artigiani consono che potesse garantire la sussistenza del relativo mestiere e di dirottare le risorse in esubero ai cantieri.

Pena pesanti multe anche la forza lavoro destinata ad attività private venne ridotta in maniera drastica per non sottrarre utili risorse all’ambizioso progetto comune.

Le lastre che furono utilizzate, chiamate “ciappe” provenienti dalla chiappella della zona di San Benigno, non erano però sufficienti. Si ricorse così alla sabbia delle spiagge, per il cui trasporto vennero requisiti quasi tutti gli animali da soma causando inevitabili disagi alle attività agricole.

“Il tracciato delle Mura Nuove”.

Le calci erano prodotte nelle fornaci di Sestri Ponente e Cogoleto. Venne studiato nei minimi dettagli un ingegnoso sistema di approvvigionamento idrico, costituito di cisterne canali e condotte che potesse fornire acqua in loco. Per sfamare e attrezzare le migliaia di operai vennero istituiti forni pubblici per la distribuzione del pane e incentivare le attività artigianali dei fabbri. Venne istituito un apposito magistrato che si occupasse della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro e, soprattutto, che sapesse gestire la variabile delle frequenti epidemie.

Padre Fiorenzuola, il celebre architetto a cui era stata richiesta consulenza in fase di progettazione nel 1633, ad opera ormai compiuta, espresse tutta la sua soddisfazione e ammirazione.

continua…

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