La Grande Peste

“Nella primavera del 1657, in mezzo ad una lieta calma, si udì che il contagio di bel nuovo ripullulava; gli abitanti più agitati fuggivano dalla città, vedendo com'esso imperversando si annunziava piuttosto colla morte, che colla malattia: assai presto a migliaia n'erano spenti, onde una confusione indicibile rendeva inutili le cautele benefiche già prese.

Disertavano i magistrati nelle vicine ville: solo il magnanimo doge Giulio rimanevasi impavido, quantunque il fiero fosse penetrato nello stesso palagio, e ne decimasse gli uffiziali e le guardie.

A rappresentare gli orrendi effetti dell'ineffabil disastro, e la strage immensa ch'iva facendo nel modo più miserevole, ci verrebbero meno gli acconci colori. Il savio e generoso doge bramava pure di arrecare qualche sollievo a sì gran calamità, ma ogni provvedimento riusciva indarno. Facea sibbene che i varii lazzaretti da lui di fresco stabiliti abbondassero d'ogni cosa necessaria: elargiva soccorsi a chiunque ne abbisognasse; non ometteva veruna diligenza perché si conservasse il buon ordine; e quantunque già il palazzo pubblico si vedesse pieno di morti, pure voleva che ne stessero aperte le porte, e dava libera udienza a chiunque ne richiedesse.

I lazzaretti rigurgitavano di moribondi, e di morti: venian meno i medici, i sacerdoti, gli infermieri, i farmaci, le provvigioni: vedevansi morti, o agonizzanti per le piazze, per le vie, per le case, per le scale: non s'incontravano che cadaveri malamente affastellati su carri e condotti a sepoltura… Il contagio sempre inferociva, e inferocì per lo spazio di diciassette mesi, durante i quali perirono nella sola Genova circa settanta mila persone”.

Brano tratto dal volume di Giovanni Battista Spotorno inserito nel “Dizionario Geografico Storico Statistico Commerciale de gli Stati di S. M. il Re di ” ( 1840).

Nel quadro del celebre artista sarzanese , realizzato nel 1658 su commissione della , si riconoscono oltre alla Lanterna, la loggia di Banchi e la chiesa di San Domenico.

In alto a sinistra si notano il Diavolo che soffia il suo pestilenziale alito sulla città e la Morte che mulina la sua imparziale falce. La nera mietitrice non fa distinzione tra nobili e poveri, colpendo sia gli uni riccamente addobbati, che gli altri o nudi o di stracci vestiti.

A fianco del faro cittadino è raffigurata una nave, protagonista di una storia assai curiosa, che si arena sulla scogliera di .

Tale imbarcazione colma di cadaveri era destinata infatti, come da prassi del tempo, a bruciare al largo ma, senza governo e a causa dei venti contrari, si schiantò sulla costa restituendo alla Superba, foriero di sventura, il mortifero e nauseabondo carico.

In copertina “La di Genova” dipinto di Domenico . Collezione della Fondazione di Galleria Palazzo Franzoni Genova.

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