Storia di un Generale…

figlio della Superba… condottiero di Spagna… terrore del Continente…
Ciò che rappresentò nel ‘500 l’Ammiraglio Andrea Doria per mare fu, per terra, nel ‘600 il Generale Ambrogio Spinola.

Il nobile genovese, entrato a servizio degli spagnoli, contribuì ad aumentarne la potenza e la gloria combattendo in tutta Europa, in particolare nei Paesi Bassi, dove le sue qualità di sublime stratega gli valsero unanimi riconoscimenti.
Molte furono le sue imprese, quella della presa di Breda, la più celebre.

“Quadro di Velasquez, museo del Prado, Madrid, che rappresenta la Resa di Breda.

Lo scrittore Don Pedro Calderon dedicò, infatti, a questo accadimento una commedia intitolata, appunto, “l’assedio di Breda” in cui il condottiero, al culmine del successo, rivolgeva il suo pensiero alla Superba in difficoltà… (lontana e assediata dai piemontesi)…
“Genova (timoroso leggo) è oppressa dal Duca di Savoia…
Mi perdoni il valore, l’invidia
mi perdoni, se m’intenerisce questa notizia, che a volte è valore la tenerezza;
e la mia patria, mi perdoni
se io vesto acciaio brunito
e non è per sua difesa.”

“Ritratto del condottiero opera di Pietro Paolo Rubens.”

Ancor più eloquente fu “il Dialogo Militar” rivolto ad Ambrogio e composto da Lope de Vega…”
… Quella città famosa,
la cui Repubblica eccelsa
simili eroi produce
nelle armi e nelle lettere;
quella che da tanti secoli
regia maestà conserva,
a nessuna corona
sua antica testa è serva;
Genova la bella, dico,
cui il mar i piedi bacia.
… lo trovaron sempre
l’aurora e le stelle
vestito d’acciaio il corpo
e la sua anima verso gloriose imprese;
esempio per i suoi soldati
rispettato in tutte le frontiere,
invidia delle età passate,
gloria del secol nostro
… (le imprese) di questo grande Capitano,
Ambrogio il Magno, saranno di Italia e Spagna la gloria.”

 

Storia del culto di S. Giorgio… seconda parte…

Alla tradizione più antica, precedentemente raccontata, si aggiunge la variante fantastica dove gli aspetti religiosi assumono una valenza marginale. Come nelle migliori fiabe un giorno il santo, di passaggio per la città di Salem in Libia, incontra una principessa, figlia del re di quel regno, pronta a sacrificare la propria vita per placare le ire di un drago che dimorava in uno stagno poco lontano. Il popolo infatti, stanco di aver sacrificato i propri fanciulli, obbliga il re a rinunciare alla figlia, minacciando la rivolta.

Giorgio interviene prontamente placando la collera della plebe dopodiché affronta il mostro, lo ferisce e lo sottomette come un cagnolino obbediente. Ordina di far legare al collo dell’animale la cintura della principessa che, incredula, ritorna in città con il drago al guinzaglio.

I sudditi sono in festa e, riconoscenti, si convertono in massa assieme a re e principessa al Cristianesimo. Il cavaliere uccide il mostro, lo taglia a pezzi e lo fa trascinare fuori dal paese trainato da quattro paia di buoi. Un’altra variante suggella il gran finale con il matrimonio fra il nostro eroe e la principessa Sabra.

san giorgio chiesa
“La chiesa di S. Giorgio oggi, nelle forme settecentesche successive a l bombardamento di re Sole del 1684”.

Da qui in poi, in particolare dalle Crociate, San Giorgio diverrà l’alfiere dell’Occidente, simbolo della lotta del bene contro il male. Il suo mito si diffonde in tutta Europa; in suo nome vengono erette molte chiese dall’Egitto a Costantinopoli, in Italia, Spagna, Portogallo, fino alla Germania, l’Inghilterra e il Caucaso.

A Genova, già dal 700, una guarnigione di soldati greco bizantini portava in processione, accompagnata dalla popolazione, il vessillo nella chiesa a questi intitolata.

Ma è al ritorno dalla presa di Antiochia (1098) e dalla conquista di Gerusalemme (1099) che i genovesi dell’Embriaco lo elevano ufficialmente a simbolo della città e della Repubblica. Da allora, per oltre cinquecento anni, le grida di battaglia saranno: “Viva San Zorzo” e “Pe Zena e pe San Zorzo”.

I portali delle dimore delle grandi famiglie si adorneranno delle sue gloriose effigie e saranno testimonianza perenne del prestigio da queste acquisito.

"Portale di palazzo Giorgio Doria".
“Portale di palazzo Giorgio Doria”.

Solo agli ammiragli e ai capitani che lo avevano difeso e onorato in battaglia con orgoglio era concesso infatti esporre i simboli del santo guerriero.

San Giorgio protegge dalla sifilide e dal morso delle vipere, sconfigge lebbra, streghe e peste bubbonica, è il protettore degli armaioli e dei sellai e dell’agricoltura in tempi di siccità.

Oggi è patrono dello scoutismo, dell’Inghilterra, del Portogallo, della Lituania, della Serbia, di Barcellona e della Catalunya, di Mosca e di oltre cento comuni italiani di cui ventuno ne portano il nome.

In Germania fa scaturire acque miracolose, in America dà il nome ad uno stato e, nel Caucaso, ad una repubblica.

La festa a lui dedicata è, a seconda dei paesi in cui si celebra, il 23 o il 24 aprile. La religione islamica lo venera tra i profeti.

"S. Giorgio su azulejos, Cappella Botto
“S. Giorgio su azulejos, Cappella Botto”.

Le sue reliquie sono sparse un po’ ovunque: il cranio nella basilica di S. Giorgio in Velabro a Roma, un braccio a Ferrara, l’altro a Venezia. Altre parti si trovano a Le Mans e a Limoges in Francia e in svariate località della Spagna e, naturalmente, custodite nella chiesa a lui dedicata sul promontorio, a Portofino.

Nel 1637 con l’elezione della Madonna a Regina, il pagano “Viva San Zorzo” cede il passo al più ecumenico “Viva Maria” ma già da tempo i fasti dei crociati genovesi sono un lontano ricordo.

Nel 1969 la Santa Congregazione dei Riti lo declassa da “santo ausiliatore” a “memoria facoltativa”.

Ecco perché mi arrogo la “facoltà” di ricordarlo.

In Copertina: Il Vessillo di San Giorgio fino al 1242, anno dell’assunzione ufficiale dello scudo bianco rosso crociato, identificato come la bandiera di San Giorgio.

Storia di leggende…. quinta parte…

misteri… e fantasmi… continua… quinta parte
I membri della Confraternita di S. Germano si divertivano, sbucando nel buio della sinistra Crosa del Diavolo (odierno Largo S. Giuseppe) a spaventare i passanti.
Indossavano un lenzuolo sotto il quale nascondevano una lanterna illuminata e calzavano lunghi trampoli.
In realtà, più che di un’associazione religiosa, si trattava di un gruppo di cospiratori e affaristi politici che, durante i loro incontri, non tolleravano intrusi e avevano ideato questo stratagemma per spaventare i curiosi.
Nei rigogliosi giardini dietro a palazzo Tursi, si aggira invece un elegante e fascinoso spettro di dama bianca.
Chi lo ha visto svanire nel loggiato sostiene essere una signora molto simile a quelle che Rubens e Van Dyck, a loro tempo, amavano ritrarre nei loro dipinti.
Poco distante, nel caruggio sottostante Palazzo Rosso, in Vico Brignole, al tramonto si possono udire i singhiozzi e i lamenti di una enigmatica figura di donna con il volto velato.
Un altro sito molto gettonato per le apparizioni sovrannaturali è la zona dell‘Acquasola che, oltre ad essere stata luogo di culto pagano, nel 1657 in seguito alla peste, è divenuta cimitero di circa ottantamila nostri concittadini.
Nel centro storico bighellona anche lo spettro di un lussurioso tedesco in cerca di piacere che, nonostante le raccomandazioni dei suoi commilitoni di non inoltrarsi nel pericoloso labirinto dei caruggi, non ha obbedito al consiglio ed è stato trucidato dai partigiani.
Dal 1943 dunque, le “Graziose” confermano l’apparizione del fantasma di un uomo in uniforme militare.
L’ho lasciato per ultimo perché ne hanno parlato anche le televisioni nazionali e le emittenti private ed è sicuramente il fantasma più famoso di Genova: la vecchina di Vico Librai.
L’anziana signora gironzola nei pressi di Porta Soprana chiedendo informazioni sulla strada da percorrere per raggiungere la propria abitazione in Vico Librai.

"La vecchina consolata in un'immagine di fantasia".
“La vecchina consolata in un’immagine di fantasia”.

Il vico, a cavallo degli anni ’60 e ’70 è andato distrutto insieme a tutto il quartiere della Madre di Dio in seguito alla vergognosa e spregiudicata politica di rinnovamento urbanistico decisa a quel tempo.
A rendere ancora più affascinante la vicenda di questa nonnina è il ritrovamento, all’interno di un locale dove era entrata per chiedere informazioni, di un borsellino contenente monete del regno, immaginette sacre e un antico rosario.
Tutti oggetti risalenti all’800.

In Copertina:Ritratto di nobildonna genovese, realizzato da Antoon van Dyck all’incirca tra il 1625 e il 1627 a Genova.

Piazza del Carmine…

Pregevole ed imponente edicola barocco secentesca raffigurante il fondatore dei Padri Carmelitani, S. Simone Stock, ordine religioso che, in fuga dalle Crociate, trovò parecchi proseliti nella nostra città, in particolare proprio nel quartiere del Carmine, dove eresse nel 1262 la strepitosa parrocchia di Nostra Signora del Carmine e di S. Agnese.
Al suo interno sono stati rinvenuti, durante attività di restauro, affreschi di Manfredino da Pistoia, collega del più celebre Giotto e allievo del Cimabue.

Ospitava inoltre l’altare e la Confraternita dei Camalli.

"San Giovanni apostolo, particolare degli affreschi duecenteschi".“San Giovanni apostolo, particolare degli affreschi duecenteschi”.

Numerose sculture e quadri del Barocco secentesco genovese sono qui racchiuse come dentro a un prezioso scrigno… Nicolò Traverso, G.B. Paggi, G. De Ferrari, G. Assereto, Domenico Piola, G.B. Carlone e Giovanni David hanno lasciato traccia della loro preziosa arte.
Curiosità finale, questa Parrocchia oltre ad ospitare i funerali di Don Gallo, ha battezzato Palmiro Togliatti, padre del Comunismo nostrano.

"Gloria di Sant'Agnese, gruppo marmoreo di Nicolò Traverso".
“Gloria di Sant’Agnese, gruppo marmoreo di Nicolò Traverso”.

Storia del Blue Jeans…

L’origine del tessuto più commercializzato sul pianeta è qui a Genova.
Infatti già in pieno medioevo la saia di color indaco proteggeva, sotto l’armatura, i nostri Balestrieri.
Il commercio su larga scala iniziò a cavallo tra medioevo ed età moderna quando Genova era snodo di importazione di cotone e esportazione di fustagni e tele.
Il colore utilizzato era l’indaco proveniente dal Bengala e da Giava, meglio noto come Blu de Genes in francese e, tradotto in inglese, appunto Blue Jeans.
La Repubblica affidò la lavorazione di questo tessuto che, inizialmente aveva utilizzi prettamente navali, ai piemontesi di Chieri e ai provenzali di Nîmes.
Per questo motivo il Jeans è anche noto come Denim (De Nîmes… per contrazione “Denim”).
Nel nuovo mondo il Jeans divenne l’indumento principe di cercatori d’oro, di minatori e di vaccari, insomma dei cow boys.
Nell’800 continuò ad essere indossato dai portuali e persino da Garibaldi ed i suoi Mille.

"I pantaloni in jeans di Garibaldi con la famosa toppa sulla gamba sinistra".
“I pantaloni in jeans di Garibaldi con la famosa toppa sulla gamba sinistra”.

 


A metà del secolo scorso raggiunse l’apice della popolarità grazie a James Dean, Kerouac e alla Beat Generation.
A testimonianza del legame popolare con la nostra città, un collezionista privato ha raccolto un presepe settecentesco le cui statuine sono vestite con abiti di jeans.
Esistono poi quattordici paramenti sacri cinquecenteschi
dipinti su tela blu, provenienti dall’antica Abbazia di San Nicolò del Boschetto ora conservati presso il Museo Diocesano.

"Particolare della Deposizione di Cristo".
“Particolare della Deposizione di Cristo”.

 

"Seconda sala blu del Museo Diocesano".
“Seconda sala blu del Museo Diocesano”.

Storia delle Edicole…

di Santi, di Madonne, di galeotti, di pittori e di assassini.

Nel 1133 San Bernardo di Chiaravalle che è a Genova per tentare di riappacificare la città con Pisa vi diffonde il culto della Madonna di cui è devoto.

Genova diventa fra le prime città in Italia a venerare la madre di Gesù. I caruggi, agli angoli dei palazzi, si popolano di edicole (“piccolo tempio” in latino) dedicate ai Santi protettori e a Maria.

Raggiungono la massima diffusione nel ‘700 dopo l’elezione nel 1637 della Madonna a Regina. Ogni corporazione gareggia per avere l’edicola più bella.

E’ un onore essere scelto per la loro cura, manutenzione e illuminazione.

In questo modo la sera Zena, a gratis, è sempre illuminata (altro che Londra o Parigi dicono i viaggiatori del tempo). Molte sono state rubate, altre distrutte dalle intemperie o deturpate dall’incuria: solo che nel centro storico se ne contano ottocentoquarantanove.

Alcune meritano di essere ricordate; “La Madonna del Galeotto” posta sotto il Ponte di Carignano così chiamata perché un giorno un marinaio arrestato ingiustamente si gettò ai suoi piedi per testimoniare la propria innocenza. Le catene si ruppero e il devoto Galeotto fu liberato senza processo;

La settecentesca “Madonna delle Cinque Lampadi” (in ardesia) presso l’omonima piazza, all’angolo con Vico del Filo, talmente bella che veniva illuminata giorno e notte appunto da cinque lanterne.

Secondo altre fonti invece nella zona sarebbe stata in compagnia di ulteriori quattro immagini sacre illuminate da altrettante lampade e, sarebbe quindi questa l’origine del toponimo;
"L'edicola della Madonna delle cinque lampadi".
“L’edicola della Madonna delle cinque lampadi”.

“L’edicola degli orefici” dedicata a S. Eligio patrono degli orafi commissionata al pittore Pellegro Piola perché fosse, fra tutte, la più sfarzosa. Il Bianco, pittore amico del Piola, quando la vide, comprese quanto l’autore di tale opera gli fosse superiore.

Morso dall’invidia e dalla gelosia, la sera stessa, in Piazza Sarzano, attese il rivale e lo uccise accoltellandolo.

La leggenda narra che il fantasma del Piola, di notte,

vaghi ancora per la piazza in cerca di vendetta.

"L'edicola barocca di Salita Pollaiuoli".
“L’edicola barocca di Salita Pollaiuoli”.

 

Storia di marinai… di Magistrati…

di diritti e di mugugni.

Fin dal Trecento la Magistratura dei Conservatori del mare (il più antico organismo preposto a tutte le attività concernenti le acque e la marineria) aveva regolamentato e sancito il diritto al mugugno.

Un privilegio accordato agli imbarcati camoglini, i più bravi su piazza, ai quali venne concesso, oltre ad una migliore paga, il diritto di lamentarsi.

I genovesi infatti, in ambito marinaro, non tolleravano ordini o ingerenze da chicchessia quindi presero a brontolare e borbottare.

Vennero quindi stabiliti due tipi di ingaggio. il primo prevedeva paga elevata e niente mugugno, il secondo paga decurtata e diritto a lamentarsi.

scontro genova venezia
“Scontro nell’Adriatico Genova Venezia, S. Giorgio contro S. Marco”.

Questa consuetudine venne interrotta e abolita nel ‘500, ai tempi dell’ammiraglio Andrea Doria quando questi propose ai suoi equipaggi migliori condizioni di lavoro (ad esempio riduzione dei turni di voga) e alimentari (carne essiccata a bordo al posto delle solite sbobe) nonché un salario più cospicuo in cambio della rinuncia.

Terminata l’epoca dell’ammiraglio i marinai della Superba continuarono a rinunciare a parte dell’ingaggio pur di mantenere il loro secolare diritto.

La quint’essenza dei genovesi deriva quindi dalla loro pretesa e manifesta superiorità marinara.

Il mugugno è catartico, basta a se stesso, non chiede, non pretende, proprio come l’indole dei zeneizi.

Storia di una torre…

e dei suoi illustri prigionieri…

corsari, pirati, musichi, eroi, artisti.

In origine la torre trecentesca, come anche il sottostante palazzo, apparteneva alla famiglia Fieschi. Accorpata al Palazzo Ducale è collegata da un arco al Palazzetto Criminale adibito ai malfattori comuni.

La torre era invece destinata ai prigionieri politici o comunque di riguardo. Nelle sue celle (una di queste “la Grimalda” dà il nome alla costruzione) furono rinchiusi personaggi straordinari:

Il Doge Paolo Da Novi, ribelle contro l’occupazione francese, poi decapitato; il pirata saraceno Dragut, il luogotenente del Barbarossa catturato dal Principe Doria; i cospiratori contro la Repubblica come Vacchero e Raggio; il violinista Paganini, il musicista più famoso del suo tempo, reo di aver molestato una minore; artisti come il Mulier, detto “Il Tempesta”, celebre per le sue tele marittime, accusato, ingiustamente, di uxoricidio; altri pittori che, durante la loro reclusione, hanno decorato i loro alloggi come Sinibaldo Scorsa, Domenico Fiasella, Luciano Borzone e Andrea Ansaldo."La "La cella di Jacopo Ruffini".

Il mio pensiero però va a Jacopo Ruffini, compagno di Mazzini che, torturato e violentato, piuttosto che tradire i suoi ideali ed elencare i nomi dei membri della Giovine italia, ha preferito il suicidio.

Subito mi accarezza la mente la struggente “Preghiera in gennaio” di De André, dedicata all’amico Tenco.

Con il sangue delle vene recise ha scritto sul muro della cella: “la risposta?… la vendetta dei miei fratelli”.

Storia di San Siro e il basilisco…

Seguendo la tradizione San Siro, vissuto per alcuni nel quarto secolo d. C, per altri nel sesto, sarebbe il secondo Vescovo di Genova.

La sua storia giunge ai giorni nostri tramandata dalla “Historia Genuae” di Jacopo da Varagine, autore, fra l’altro, anche della ben più celebre “Legenda aurea”.

Secondo questo racconto, in un pozzo poco distante dalla cattedrale dei Dodici Apostoli, appunto odierna S. Siro (dove, per altro sarà battezzato un altro apostolo, quello della libertà, il Mazzini), viveva un terribile serpente (rappresentato anche come un gallinaccio) che, con il suo alito pestilenziale, infestava la città.

Dopo inutili preghiere, penitenze e digiuni, Siro si recò al pozzo e, calatovi un secchio gli intimò di salirci dentro per farsi tirare fuori.

"Lastra marmorea scolpita su palazzo Pinelli che ricorda il miracolo di Siro".
“Lastra marmorea scolpita su palazzo Pinelli che ricorda il miracolo di Siro”.

 

Il basilisco, ammansito, si raggomitolò nel secchio e così il Vescovo poté mostrarlo al popolo.

Senza minaccia alcuna gli impose di raggiungere il mare, cosa che il mostro fece, senza opporre resistenza.

Il miracolo è raffigurato in un meraviglioso affresco del diciottesimo secolo nel coro della chiesa ad opera del Carlone. Questi, ricercato per omicidio, si era lì rifugiato, godendo del diritto di asilo del luogo sacro e, con il suo affresco, aveva inteso sdebitarsi.

S. Siro e il basilisco anticipa alcuni dei temi e dei segni che caratterizzeranno il simbolo militare di Genova, S. Giorgio e il drago.

In realtà Siro apparteneva alla corrente religiosa che si opponeva all’arianesimo, qui dal serpente rappresentato, sconfitto dalla verità e capacità di persuasione del Vescovo.

 

 

Storia di Paciugo e Paciuga…

e breve menzione del Santuario di Coronata.

Le notizie sulla chiesa di S. Michele Arcangelo e Santa Maria dell’Incoronata si perdono nella notte dei tempi allorquando, una misteriosa Madonna lignea comparve sulla spiaggia di Caput Arenae e, spostandosi continuamente, si lasciò cogliere solo sulla collina di Coronata.

Al suo interno, fra le tante opere d’arte, interessante come testimonianza dal punto di vista storico una tela ottocentesca raffigurante il Doge Tomaso di Campofregoso in pellegrinaggio al Santuario in segno di ringraziamento per una battaglia navale contro gli Aragonesi, avvenuta nel 1420."Santuario di S. MIchele e S. Maria Incoronata".

Nel 1887 padre Persoglio, rovistando negli archivi, ci trasmise in stretto genovese, una curiosa storiella accaduta, pare, in pieno Medioevo:

Paciuga, ogni sabato, dalla sua abitazione nel borgo di Prè si recava, dopo lungo scarpinare, al Santuario per pregare e chiedere il ritorno, sano e salvo, di Paciugo, il marito marinaio catturato dai Turchi.

I vicini, malelingue, pensarono subito ad una tresca e sparsero in giro tale menzogna.

Un bel giorno Paciugo, sfuggito ai Musulmani, riapparve in Darsena ma, prima che gli abbracci della moglie, lo accolsero le altrui calunnie.

Il marinaio, con il cuore gonfio d’odio, corse a casa e, per festeggiare il suo avventuroso rientro, invitò la sua bella ad una gita in barca. Giunto al largo, accusò la moglie e, nonostante le sue accorate smentite, la affogò.

Appurato, in seguito, che Paciuga era stata sincera, non sapeva darsi pace per l’orrendo assassinio.

Fu allora che la Madonna, colpita dal suo sincero pentimento, lo condusse al Santuario dove poté riabbracciare la sua fedele sposa.