Il Mog (Mercato Orientale di Genova).

Nel 1893 a marzo la Principessa Sissi venne a Genova in incognito, a settembre nacque il Genoa CFC e di lì a poco si stabilì la costruzione del Mercato Orientale.

Con delibera pertanto del 21 ottobre di quell’anno vennero incaricati gli ingegneri comunali Veroggio, Bisagno e Cordoni per dare una sede stabile al mercato dei prodotti agricoli che arrivavano dalla val Bisagno.

Fino a quel momento infatti i bezagnini portavano le loro merci nelle piazze di De Ferrari e dell’Annunziata.

Il nome del nuovo mercato derivava dal fatto che la sua posizione era ad oriente rispetto al centro cittadino di allora.

Il Mercato Orientale di Genova si trova nella scenografica area del chiostro del convento degli Agostiniani annesso alla chiesa della Consolazione.

Il Mercato Orientale nel 1904.

Del chiostro originario, il mercato comprende i colonnati ai lati posti verso la chiesa e verso la via XX Settembre nonché il portale chiuso sulla piazzetta di accesso al mercato da via Galata, mentre gli altri due lati sono stati completati con la realizzazione del mercato.

In occasione di tale conversione il Mercato Orientale fu il primo edificio costruito a Genova in calcestruzzo armato con la tecnica del sistema Hennebique.

Il mercato fu concepito all’aperto ed è stato successivamente coperto da lucernai per aumentare lo spazio interno disponibile. Le decorazioni sono in marmo bianco, mentre l’originale pavimento in pietra è oggi purtroppo parzialmente coperto da cemento. L’ala dell’edificio affacciata su via XX Settembre ha ospitato per anni gli uffici finanziari, dal 1931 trasferiti nella nuova imponente sede di via Fiume.

In quella sede 40 anni più tardi mio padre vi avrebbe ricoperto il ruolo di Direttore ed ogni giorno terminato il lavoro, lui grande cultore della buona cucina, in quel mercato vi si recava fiducioso di trovare quel che cercava.

Il Mog occupa una superficie di 5500 metri quadrati. Comprende un piano sotterraneo suddiviso in 42 magazzini ed un pianterreno formato da un porticato perimetrale colonnato che si sviluppa per circa 360 metri. Il mercato ha cinque accessi, di cui due da via XX Settembre, compreso l’ingresso principale a cinque arcate, due da via Galata e uno da via Colombo.

I lavori finalmente si conclusero nel luglio del 1898 e il 2 giugno 1899 il mercato fu inaugurato dal sindaco Francesco Pozzo con una mostra floreale.

Nel dicembre 2017 è stato presentato un progetto per il restauro conservativo e la valorizzazione del piano rialzato dell’edificio, dove è stato realizzato un food market con bar, postazioni per degustare prodotti tipici, scuola di cucina e uno spazio per incontri culturali ed eventi.

I bezagnini con le corbe di frutta e verdura nel 1925. Foto del Docsai (Centro di Documentazione per la storia, l’arte, l’immagine).

La nuova struttura purtroppo inaugurata in pieno covid nel maggio 2019 è oggi, animata dai suoi vivaci locali, assai frequentata.

Il Mog di Genova ha saputo dunque modernizzarsi strizzando l’occhio allo street food, senza per questo rinunciare alla sua storia. Colori, aromi e profumi, sono quelli di sempre.

Fruttivendolo (bezagnino in genovese). Foto di Andrea Robbiano.

Se da una parte purtroppo sono quasi sparite le antiche tripperie (ne è rimasta una sola) che occupavano l’ala lato via Galata, dall’altra bezagnini, pesciai, formaggiai, maxellai, pollerie e gastronomie varie continuano ancora a farla da padrone. Qui si trovano primizie ed ogni genere di mercanzie altrimenti difficili da reperire altrove.

I colori del Mog. Foto di Andrea Robbiano.

A proposito di mercati storici tutti conoscono la celeberrima e più antica Boqueria di Barcellona costruita nel 1836 che in Catalogna è divenuta addirittura una ricercata attenzione turistica.

Pescivendolo (in genoves Pesciaio). Foto di Andrea Robbiano.
Ancira i colori del mercato. Foto di Andrea Robbiano.

Credo che il nostro Mercato che è grande il doppio e non meno storicamente affascinante della Boqueria possa in futuro, seguendone l’esempio, ottenere lo stesso successo.

In Copertina: Il Mog. Foto di Lorenzo Arecco.

Il Presepe di Palazzo Rosso

La rappresentazione della natività si dipana fra la città e il porto di Genova con figure orientali che rappresentano da sempre la multi etnicità di una città aperta ai commerci e al mondo.

Il presepe in vetrina – come battezzato dai suoi curstori Giulio Sommariva e Simonetta Maione – dei Musei di Strada Nuova è stato allestito a Palazzo Rosso in una scenografica teca, visibile da via Garibaldi.

Le statuine che animano le scene con la Sacra Famiglia, i pastori e i nobili sono in gran parte dovute all’opera di Pasquale Navone che, pur nato dopo la morte del Maestro, si formò alla bottega del Maragliano.

In tutto circa 30 statuine – alcune delle quali provenienti dalle collezioni civiche, in particolare dal Museo Giannettino Luxoro di Nervi – ispirate dalle stampe seicentesche e settecentesche dell’incisore Antonio Giolfi e del pittore fiammingo Cornelis de Wael. Si riconoscono ad esempio Piazza Banchi e ponti Spinola, Reale e Calvi sotto la futura Piazza Caricamento.

Si tratta di figure a manichino in legno con parti visibili scolpite e policromate e rivestite con tessuti pregiati, tra i quali sete finemente ricamate e tele jeans del 700.

Il presepe è illuminato e visibile anche la sera per tutti coloro che si troveranno a transitare in via Garibaldi e resterà aperto fino al 5 febbraio.

Genova dicembre 2022

In Copertina: Foto di Maurizio Romeo.

O Mâ o l’è o mâ…

Quando si pensa ai Liguri l’associazione con il mare, vista la gloriosa storia della Repubblica marinara e dei suoi intrepidi naviganti, diventa imprescindibile.

Eppure i Liguri, che sono da considerarsi la più antica popolazione italica di cui si abbia notizia, erano essenzialmente dei montanari costretti per necessità a navigare.

La fonte più antica che cita i Liguri è rappresentata dalla versione di un frammento di Esiodo (fine VIII-inizi VII secolo a.C.), riportato da Strabone che cita i Liguri (Libuas, Libui o i Libi) insieme agli Etiopi e agli Sciti come i più antichi abitanti del mondo: “Etiopi, Liguri e Sciti allevatori di cavalli”.

Esiodo considera i Liguri la principale Nazione dell’Occidente, elencate i tre grandi popoli che definisce barbari, che controllavano il mondo allora conosciuto, gli Sciti a Oriente, gli Aetiopi nell’Africa, i Liguri a Occidente.

Ad esempio Diodoro Siculo descrive una razza di individui “tenaci e rudi, piccoli di statura, asciutti, nervosi… Costoro abitano una terra sassosa e del tutto sterile e trascorrono un’esistenza faticosa ed infelice per gli sforzi e le vessazioni sostenuti nel lavoro. E dal momento che la terra è coperta di alberi, alcuni di costoro per l’intera giornata, abbattono gli alberi, forniti di scuri affilati e pesanti, altri, avendo avuto l’incarico di lavorare la terra, non fanno altro che estrarre pietre… A causa del continuo lavoro fisico e della scarsezza di cibo, si mantengono nel corpo forti e vigorosi. In queste fatiche hanno le donne come aiuto, abituate a lavorare nel medesimo modo degli uomini. Vivendo di conseguenza sulle montagne coperte di neve ed essendo soliti affrontare dislivelli incredibili sono forti e muscolosi nei corpi… Trascorrono la notte nei campi, raramente in qualche semplice podere o capanna, più spesso in cavità della roccia o in caverne naturali… Generalmente le donne di questi luoghi sono forti come gli uomini e questi come le belve… essi sono coraggiosi e nobili non solo in guerra, ma anche in quelle condizioni della vita non scevre di pericolo” (Diod. IV,20,1.23).

L’esigenza di navigare, abilità poi perfezionata al tempo dei greci e dei romani, nasce in epoca antichissima quando i Liguri erano noti nel Mediterraneo per il commercio della preziosissima ambra baltica e, per questo, erano detti Ambrones. Con lo sviluppo delle popolazioni celtiche i Liguri si ritrovarono a controllare un cruciale accesso al mare, divenendo (a volte loro malgrado) custodi di un’importante via di comunicazione.

Barca battente bandiera genovese. Ex voto del 1712 esposto al Museo Diocesano di Genova in occasione della mostra “E tacquero le onde del mare! Ex voto marinai in Liguria”.

«Navigano eziandio per cagione di negozi pel mare di Sardegna e di Libia, spontaneamente esponendosi a pericoli estremi; si servono a ciò di scafi più piccoli delle barchette volgari; né sono pratici del comodo di altre navi; e ciò che fa meraviglia, si è che non temono di sostenere i rischi gravissimi delle tempeste.»

Il mare allora diventa ambito indispensabile per il sostentamento quotidiano (pesca), per il commercio con la speranza sempre rivolta oltre quell’azzurro infinito orizzonte.

Ma il mare significa anche lontananza da casa, precarietà, guerra, invasioni nemiche, tempeste, paura di perdere i propri beni, la morte. Un’eterna scommessa dunque sintetizzata con essenziale pragmatismo dall’atavico detto popolare:

O mâ o l’é o mâ (il mare è il mare/male) palindromo che si può leggere anche in senso inverso.

Non a caso mare e male in lingua genovese si scrivono e pronunciano alla stessa maniera.

In Copertina: mareggiata a Deiva Marina (Sp). Foto di Anna Daneri.

Edicola con Madonna e San Domenico

In Piazza delle Erbe sul fronte del palazzo al civ. n. 6r che ospita il celebre Bar Berto si trova un’edicola del XIX secolo raffigurante la Madonna col Bambinello e San Domenico.

All’interno di una cornice rettangolare in stucco con decorazioni e motivi geometrici policromi è collocato un dipinto di autore ignoto.

Il Santo è in ginocchio in atto di adorazione mentre alcuni angeli sorvolano la Vergine e il Bambinello.

Alla base della cornice in rilievo un cherubino alato.

Il Presepe delle Vigne

All’interno della Basilica delle Vigne è stato allestito, realizzato dall’Accademia Ligustica di Belle Arti, un imponente presepe.

Quest’anno il presepio è stato diviso in più scene e reso itinerante, sfruttando i grandi spazi della basilica, all’interno della chiesa.

La quinta principale è stata pensata ai piedi dell’altare dove è stata posta la Natività mentre in una navata laterale è stato allestito il presepe tradizionale a cura dei giovani della parrocchia.

Basilica S. Maria delle Vigne – Vico Campanile delle Vigne – Genova.

Orario Visita Presepe: dal 24 dicembre al 2 febbraio orario 8-19.
Info: tel 010.2474761 – info@basilicadellevigne.it.

Genova, Dicembre 2022.

In Copertina: il Presepe delle Vigne. Foto di Anna Armenise.

In Copertina: Il presepe delle Vigne. Foto di Anna Armenise.

Il marmo igienico

In Piazza Fontane Marose in un lato del Palazzo Interiano Pallavicino si trova una sporgenza di marmo dalla curiosa forma.

Tale manufatto aveva la duplice funzione di evitare che quell’angolo diventasse un orinatorio pubblico o un nascondiglio per malintenzionati.

Il riempire gli angoli con pietre, marmi e materiale vario, serviva a salvaguardare ambienti poco areati come quelli dei caruggi, dalla puzza e dal proliferare delle malattie.

Purtroppo infatti orinare sui muri e fare i propri bisogni all’aperto era un tempo usanza diffusa.

Di questa pratica deterrente esistono anche altre testimonianze. Ad esempio un’altra sporgenza con scanalature molto simili, in Via San Siro e altre due, invece lisce, in via Balbi all’ingresso della Facoltà di Giurisprudenza (ex convento dei Gesuiti).

In Copertina: Il marmo igienico di Palazzo Interiano Pallavicino. Foto di Stefano Eloggi.


Mercurio e Balilla

Da Piazza Dante scendendo il tratto finale di Via Fieschi si incrocia Via XX Settembre.

Attraversandola per salire verso Via V Dicembre si oltrepassa un monumentale arco con lo stemma di Genova sorretto da due personaggi opera dello scultore lucchese Arnaldo Fazzi

Il primo sulla destra è l’aitante Mercurio che impugna il bastone alato sul quale si attorcigliano due serpenti e rappresenta la prosperità.
Mercurio infatti è il dio del commercio e fu quindi scelto per vigilare sui negozi di questa importante e trafficata strada.

Il secondo a sinistra è Balilla il giovane eroe che diede il via all’insurrezione contro l’invasore austriaco.

Lo si riconosce dal fatto che la statua che raffigura Gian Battista Perasso stringe in mano il sasso, simbolo della rivolta, lanciato ad inizio della ribellione.

Da qui infatti inizia lo storico sestiere di Portoria dove il 5 dicembre 1746 il Balilla, secondo la tradizione, pronunziò il celebre che “l’inse” (che abbia inizio).

In Copertina: L’arco monumentale di Via V Dicembre. Foto dell’autore.

L’Eden è qui… a Genova.

La trasmissione di ieri “Eden un pianeta da salvare” condotta da Licia Colò sulla Sette ha avuto come protagonista in prima serata Genova.

Nel complesso la narrazione non mi è dispiaciuta e l’ho trovata, in linea con il target ecologico del pubblico a cui si rivolge, senza infamia e senza lode.

Forse proprio per via di questo aspetto “green” si è dato ampio risalto alla pista ciclabile ed al trasporto pubblico, temi che in città non riscuotono proprio un consenso bulgaro.

Da Boccadasse con i suoi inconfondibili scorci e relativi racconti legati ai cantautori si è passati poi alle affascinanti atmosfere del centro storico con il suo inestricabile dedalo di caruggi e la magia delle sue botteghe storiche rappresentate, queste ultime, dalla confetteria più antica d’Europa, quella dei Romanengo.

Pazienza se non si è scollinato Capo Santa Chiara per mostrare un altrettanto meraviglioso e incorotto borgo marittimo come quello di Vernazzola.

Un plauso alla buona creanza di aver interpellato, per spiegare ai foresti la meraviglia dei Rolli, il Prof. Giacomo Montanari che ne è l’appassionato curatore.

Il viaggio è poi proseguito alla Spianata di Castelletto da dove, in pieno centro città, è possibile ammirare uno dei panorami più suggestivi della Superba.

Finalmente si è spiegato ai foresti che, come cantavano Fossati e De Andre’:

“Chi guarda Genova sappia che Genova
si vede solo dal mare”

E che l’altra chiave di lettura è quella della verticalità. Pazienza se una volta preso l’ascensore di Castelletto non si è ricordato che, proprio con quell’ascensore, Giorgio Caproni avrebbe voluto andarci in Paradiso.

Quel paradiso, ovvero quell’Eden, che Licia Colò rincorre nei suoi programmi, noi genovesi lo viviamo tutti giorni, privilegiati testimoni della sua incommensurabile bellezza.

La tappa all’Acquario è stata invece abbastanza scontata ma visto appunto il taglio naturalista del racconto, è comprensibile.

Così come comprensibile è stata la citazione di Colombo, la cui abitazione è stato omesso però essere un falso storico ad uso e consumo dei turisti.

Perdonata comunque per aver ribadito l’inconfutabile, documenti alla mano, genovesità dell’esploratore.

Giustificata invece, per via dell’importanza del museo stesso, la sosta al Gàlata, (non Galàta come erroneamente pronunciato) con tutto quel che riguarda la storia della navigazione e relativa testimonianza sull’emigrazione del Direttore Pierangelo Campodonico.

Dell’Antico Porto che poi in realtà è il Porto Antico si è raccontato del Bigo, dipinto solo come un ascensore panoramico senza spiegare cosa rappresenti (sistema di gru per la movimentazione delle merci sulle navi) e del sommergibile Nazario Sauro.

Pazienza se non si è parlato della Biosfera, dei Magazzini del Cotone, di quelli del Sale e dell’Abbondanza, della Città dei Bambini, del vascello pirata Neptune, della pista di ghiaccio in Piazza delle Feste.

Almeno la cinquecentesca porta alessiana del Molo Vecchio però due parole le avrebbe meritate.

Accenno che invece, per fortuna, è stato destinato alla banca più antica del mondo, quella del Banco di San Giorgio.

Interessante invece la bucolica escursione a Pegli nei giardini, di quello che è stato votato come il più bel parco d’Italia, di Villa Pallavicini.

Apprezzabile infine la scenografica chiosa sulle alture da uno dei sedici forti (Forte Begato) che fanno da corona alla città e alla secentesca cinta muraria delle Mura Nuove.

Insomma tutto sommato un gradevole spot pubblicitario che invita il turista a visitare la nostra città con l’augurio di comprendere perché noi genovesi la si ritenga la più fascinosa di tutte.

D’altra parte molti viaggiatori hanno professato la loro predilezione per Genova come ad esempio Cechov che nella sua commedia “Il Gabbiano” ci ha regalato questo inequivocabile dialogo:

Medvedenko: Posso chiedervi, dottore, quale città straniera vi è piaciuta di più?

– Dorn: Genova.

– Trepliov: Perché Genova?

– Dorn: Per le strade di Genova cammina una folla meravigliosa. Quando si esce, di sera, dall’albergo, tutta la strada è colma di gente. Poi te ne vai a zonzo, senza una meta, di qua e di là, a zig-zag, tra quella folla; vivi della sua vita, ti confondi a lei nell’anima; e cominci a credere che possa esistere una sola anima universale …

Genova è la città più bella del mondo”.

In Copertina: La conduttrice di “Eden” Licia Colò con sullo sfondo le imponenti torri di Porta Soprana.

Respublica superiorem non recognoscens

La Compagna Communis nata probabilmente già prima, fu a partire dal 1099 l’embrione della Repubblica di Genova.

Fu con la riforma degli Alberghi istituita nel 1528 da Andrea Doria che si ebbe i il passaggio formale dalla Compagna alla Repubblica.

E’ in occasione di tale trasformazione che Genova assume il suo glorioso e inequivocabile motto :

“Respublica superiorem non recognoscens” che tradotto dal latino significa:

“La Repubblica (di Genova) non riconosce nessuno che le sia superiore”.

Con questa categorica affermazione Genova proclama la propria inalienabile sovranità e lo fa con tutto il suo incommensurabile orgoglio che le deriva da una, già a quel tempo, plurisecolare storia.

Dal punto di vista giuridico e politico Genova enuncia così il primato del proprio Stato in quanto originario (non derivante da altro), assoluto (perché superiorem non recognoscens), esclusivo (perché indivisibile), inalienabile e imprescrittibile (in quanto di funzione pubblica, necessaria a ogni organizzazione politica).

Quando poi a inizio ‘600 le arroganti monarchie straniere oseranno, forti del loro strapotere militare e strategico, sfidare la Superba, Genova escogiterà un geniale artifizio:

l’elezione nel 1637 della Madonna a Regina della città che permetterà ai Serenissimi Collegi di sostituire nello stemma e nel titolo la corona dogale in vigore all’incirca dal 1570 (seppur il dogato esistesse già dal 1339) con quella regale.

Le statue della Vergine saranno poste sulle principali porte delle Mura Nuove recanti l’epigrafe: “Posuerunt me Custodem”.

“Hanno messo me a protezione”.

Fine di ogni discorso.

Respublica superiorem non recognoscens!

In Copertina: lo stemma di Genova recante il motto “Respublica superiorem non recognoscens”.

Lunesdi de l’Angeo

Quando fate gli auguri del lunedì di Pasqua, ricordatevi che a Genova si dice Lunesdi de l’Angeo, ovvero Lunedì dell’Angelo.
Con il temine Pasquetta (Pasqueta in lingua genovese) infatti in Liguria ci si riferisce alla festa dell’Epifania.

Nel cristianesimo occidentale il lunedì dell’Angelo è il secondo giorno dell’Ottava (settimana) di Pasqua, e nel cristianesimo orientale è anche il secondo giorno della settimana luminosa.

Prende il nome dal fatto che in questo giorno si ricorda la manifestazione dell’angelo alle donne giunte al sepolcro.

Secondo il Vangelo infatti (Matteo 28:1-10) le donne si recarono al sepolcro di Gesù dopo la sua morte. Una volta giunte sul posto, non trovarono il corpo del Signore ma un Angelo che le aspettava. In quel momento le donne ricevettero la grande notizia con le parole dell’Angelo:

“Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui. È risorto, come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: È risuscitato dai morti, e ora vi precede in Galilea; là lo vedrete. Ecco, io ve l’ho detto.”

In Liguria l’espressione “lunedì dell’Angelo” è ormai tradizionale anche se non appartiene al calendario liturgico canonico della Chiesa cattolica, il quale lo indica come lunedì fra l’Ottava di Pasqua, alla stessa stregua degli altri giorni dell’ottava settimana (martedì, mercoledì ecc.).

Il lunedì dell’Angelo quindi non è giorno di precetto per i cattolici ed è diventata nel tempo un’abituale festa civile ottima occasione per scampagnate, pic nic e gite fuori porta.

Così al suono rituale delle campane a festa per la Resurrezione si è sostituito lo scoppiettare profano delle braci dei barbecues.

In Copertina: Giovan Battista Gaulli detto Baciccio (attribuito), Le tre Marie al sepolcro.