A Capolungo

“Vicinissimo, sotto i nostri occhi, scavato a lungo andare dall’impeto del torrente che scorre sotto casa nostra, il povero piccolo porto di Capolungo, che i Rocca hanno confiscato per abbellire il loro parco”.

Cit. Jules Michelet storico francese (1798 – 1874).

La Grande Bellezza…

Foto di Lino Cannizzaro.

Polittico di San Lazzaro

Questa suggestiva cinquecentesca opera d’arte conservata nel museo Diocesano di Genova era custodita un tempo nella chiesa di San Lazzaro.

Tale edificio religioso con annesso ospitale per pellegrini che sorgeva nell’ attuale piazza Di Negro (più o meno dove oggi di trova la chiesa di San Teodoro), fu demolito nel 1870 per far posto ai Magazzini Generali.

Il polittico ben conservato e con colori ancora vividi rappresenta la Madonna in trono con Gesù bambino al centro con ai lati San Lazzaro vescovo e San Lazzaro lebbroso.

Autore di questo capolavoro è Pietro Francesco Sacchi ( Pavia 1485 – Genova 1528 ) detto “il Pavese”.

La Grande Bellezza…

La Madonna della Pappa

Opera del pittore olandese di scuola fiamminga David Gerard (Oudewater 1460-Bruges 1523) a Palazzo Rosso si trova questa particolare rappresentazione della Vergine con il Bimbo.
“Madonna della pappa” (1510 -1515), questo il suo nome, è un dipinto appartenuto alla collezione privata Brignole -Sale che fu acquistato probabilmente nel corso del ‘800 dalla duchessa stessa.

Trasferito dapprima nella residenza parigina dei Galliera, nel 1874 rientrò a Genova a Palazzo Rosso ed insieme alla raccolta di altre opere che avrebbero costituito il futuro embrione dei Musei di Strada Nuova, venne donato al Comune di Genova.

La specificità di questo quadro si ravvisa nell’intimità della scena rappresentata.

La Vergine, dall’umile atteggiamento e il dolce sguardo sembra una mamma qualunque immortalata nel più materno dei gesti quotidiani, la preparazione – appunto – della pappa.

Una mamma premurosa che tiene sulle ginocchia il suo bambino e si prepara ad imboccarlo.

Un’immagine quindi semplice, familiare che rivela però significati e simbologie sottese.

Dalla finestra si scorge un paesaggio che si apre all’orizzonte ma la vera protagonista diviene proprio la quotidianità con la descrizione puntuale degli oggetti in primo piano: il pane, la ciotola con il latte, il coltello e la mela che paiono rispettivamente alludere a un preciso messaggio di contenuto eucaristico; in questo modo gli oggetti quotidiani acquistano anche un significato metafisico e il pane e il latte della pappa diventano simbolo dell’Eucarestia di Cristo mentre il coltello ne prefigura la Passione.

La Grande Bellezza…

Il Ninfeo sospeso

In Salita Pollaiuoli distogliendo un attimo lo sguardo dal vorticoso via vai di persone che si inoltrano nel budello dei caruggi si rimane sorpresi. All’angolo con Vico Lavezzi a meravigliare è la singolare posizione del portale, quasi sospeso, che si scorge all’altezza del del civ. 50r.

Si tratta del secentesco Ninfeo collocato sul terrazzo del retro di palazzo Spinola Serra. Splendide sono le due figure fito antropomorfe che sorreggono il timpano.

A tale sontuosa dimora si accede da Via Canneto il Lungo 31.

L’Ultima Cena e il cardinale

Nella navata destra della Cattedrale di San Lorenzo si trovano, a pochi centimetri l’uno dall’altro, due splendidi capolavori.

Il primo è il monumento funebre del cardinal Pietro Boetto, realizzato nel 1949 dallo scultore Guido Galletti.

L’alto prelato genovese si era distinto nella trattativa della resa nazista avvenuta nella sua residenza di Villa Migone nell’aprile del 1945.

Inoltre il cardinale si era attivato, aderando alll’associazione clandestina Delasem, per aiutare gli ebrei a sfuggire dal regime nazista. Per questa sua attività meritoria l’arcivescovo di Genova è stato nominato”Giusto fra le Nazioni” ed è uno dei soli quattro membri del clero che in Italia hanno ricevuto questo autorevole riconoscimento.

Boetto morì il 31 gennaio 1946 in seguito ad una crisi cardiaca ed ebbe giusta sepoltura con il massimo degli onori nel principale tempio cittadino.

L’epigrafe commemorativa alla base del sarcofago recita:

PETRUS CARD. BOETTO S.J. ARCHIEP. GENUEN. CIVITATIS DEFENSOR 1871-1946.

Con la sua scomparsa ebbe inizio l’epoca del suo successore Giuseppe Siri il cui mandato fu il più lungo, durato ben 41 anni fino al 1987, della storia della diocesi genovese.

A realizzare la scultura fu l’artista celebre, fra le sue tante opere, per il monumento subacqueo del Cristo degli Abissi collocato nei fondali davanti a San Fruttuoso.

Ma lo stupore non finisce qui perché alzando lo sguardo dietro al monumento si rimane estasiati dalla bellezza dell’Ultima Cena di Lazzaro Tavarone.

L’affresco dipinto nel 1626 in origine si trovava nel refettorio dell’ospedale Pammatone e venne trasferito in cattedrale quando il nosocomio, nel dopoguerra, venne demolito e smantellato.

Fra le innumerevoli opere d’arte di questo straordinario pittore basti ricordare il – a tutti familiare – prospetto di Palazzo San Giorgio decorato con le effige dell’omonimo santo.

D’ä mæ riva

Di fronte ad un panorama come questo non è difficile immaginare quanto dovesse essere duro per il navigante genovese abbandonare la propria città.

Allora si comprende come in quel fazzoletto chiaro sventolato dalla moglie ci sia tutto il dolore del distacco e come questo, con quella foto di ragazza dentro quella berretta nera, si trasformi in speranza del ritorno.

D’ä mæ riva
sulu u teu mandillu ciaèu
d’ä mæ riva
‘nta mæ vitta

u teu fatturisu amàu
‘nta mæ vitta
ti me perdunié u magún
ma te pensu cuntru su

e u so ben t’ammii u mä
‘n pò ciû au largu du dulú
e sun chi affacciòu
a ‘stu bàule da mainä

e sun chi a miä
tréi camixe de vellûu
dui cuverte u mandurlin
e ‘n cämà de legnu dûu

e ‘nte ‘na beretta neigra
a teu fotu da fantinn-a
pe puèi baxâ ancún Zena
‘nscià teu bucca in naftalin-a.

Traduzione per i foresti:

Dalla mia riva
solo il tuo fazzoletto chiaro
dalla mia riva
nella mia vita

il tuo sorriso amaro
nella mia vita
mi perdonerai il magone
ma ti penso contro sole

e so bene stai guardando il mare
un po’ più al largo del dolore
e son qui affacciato
a questo baule da marinaio

e son qui a guardare
tre camicie di velluto
due coperte e il mandolino
e un calamaio di legno duro

E in una berretta nera
la tua foto da ragazza
per poter baciare ancora Genova
sulla tua bocca in naftalina.

“D’ä mæ riva” brano tratto dall’album “Creuza de ma” del 1984 di Fabrizio De André.

Foto di Lino Cannizzaro.

Da Salita del Fondaco

Il toponimo di Salita del Fondaco richiama l’antica consuetudine mediterranea legata all’utilizzo di un magazzino di merci aperto in terra straniera con relativo alloggio per i mercanti.

Il termine fondaco infatti deriva (pron. fóndaco) dal greco πάνδοκος, albergo, e attraverso l’arabo فندق‎, funduq, diviene letteralmente “casa-magazzino”.

“Un abete speciale Quest’anno mi voglio fare un albero di Natale di tipo speciale, ma bello veramente. Non lo farò in tinello, lo farò nella mente, con centomila rami e un miliardo di lampadine, e tutti i doni che non stanno nelle vetrine. Un raggio di sole per il passero che trema, un ciuffo di viole per il prato gelato, un aumento di pensione per il vecchio pensionato. E poi giochi, giocattoli, balocchi quanti ne puoi contare a spalancare gli occhi: un milione, cento milioni di bellissimi doni per quei bambini che non ebbero mai un regalo di Natale, e per loro ogni giorno all’altro è uguale, e non è mai festa. Perché se un bimbo resta senza niente, anche uno solo, piccolo, che piangere non si sente, Natale è tutto sbagliato”.


Cit. Gianni Rodari, Filastrocche in cielo e in terra.

La Grande Bellezza…

“La bellezza salverà il mondo”…

“È vero, principe (Miškin) che lei una volta ha detto che la ‘bellezza’ salverà il mondo?

State a sentire, signori,” gridò ad alta voce, rivolgendosi a tutti, “il principe sostiene che la bellezza salverà il mondo!

E io sostengo che questi giocondi pensieri gli vengono in testa perché è innamorato.

Signori, il principe è innamorato (…) Ma quale bellezza salverà il mondo?”

Cit. da “L’idiota” 1869 di Fedor Dostoevskij (1821-1881).

Non so il principe Miškin, protagonista del celebre romanzo dello scrittore russo, di chi fosse innamorato e nemmeno se la bellezza salverà davvero il mondo.

Però costei la conosco, l’ho vista:

l’ho incontrata pensierosa in riva al mare, assorta sulle alture, misteriosa fra i caruggi, riccamente addobbata nelle chiese e meravigliata nei palazzi;

l’ho incrociata all’imbrunire passeggiare sui tetti di ardesia, scalare le torri di mattoni, arrampicarsi sui campanili di pietra, incantata dalle luci della Lanterna;

l’ho intravista nei porticcioli confondersi tra i pescatori mentre rassettano le reti prima di imbarcarle sui gozzi.

l’ho scorta affaticata percorrere le creuze, riposarsi un momento, prima di addormentarsi persa nei colori del tramonto;

l’ho persino sorpresa all’alba annusare rapita il profumo della focaccia appena sfornata, oppure nascosta dentro un mortaio di marmo sopra il lavello di una cucina.

In realtà si aggira un po’ dappertutto: a volte timida si manifesta dimessa sotto mentite spoglie, altre baldanzosa si palesa in tutto il suo splendore, stupita – lei si – del fatto che spesso, anche in questo caso, non riusciamo a riconoscerla.

Eppure la bellezza, la grande bellezza abita a Genova.

La città vecchia. Foto di Leti Gagge.

Notturno genovese

“Era una notte meravigliosa, una di quelle notti che possono esistere solo quando siamo giovani, caro lettore. Il cielo era così pieno di stelle, così luminoso, che a guardarlo veniva da chiedersi: è mai possibile che vi sia sotto questo cielo gente collerica e capricciosa?”


Cit. dalle Notti Bianche di Fëdor Dostoevskij.

E la Lanterna laggiù squarcia le tenebre e brilla come un diamante sopra un tappeto di pietre preziose.

Foto di Fabrizio Robba.

La Grande Bellezza…