Si sogna di essere a Genova

“Non lontano da Genova, sulla cima dell’Appennino, si vede già il mare. Fra i verdi cocuzzoli delle montagne compaiono i flutti azzurri, e le navi che si scorgono qua e là sembrano voler salire sui monti a vele spiegate. Se però si gode questa vista al crepuscolo, quando gli ultimi raggi di sole iniziano il loro mirabile gioco con le prime ombre della sera e tutti i colori e tutte le forme si intrecciano nebulosamente, allora par d’essere veramente in una fiaba, la carrozza scende stridendo, le immagini più dolci e sonnecchianti nell’anima vengono bruscamente scosse e tornano ad appisolarsi, e infine si sogna d’essere a Genova”.

Cit Heinrich Heine (1797 – 1856) poeta tedesco.

Foto sulle alture di Quezzi. Foto di Andrea Delponte.

Il Palazzo dei Giganti

L’edificio noto come il palazzo dei Giganti in via XX settembre fu costruito nel 1896 dall’architetto Carbone e dall’ingegner Fuselli.

Tratto distintivo dell’edificio è costituito dalle otto statue di enormi telamoni o Atlanteani che fungono da colonne, tenendo la cornice sulle spalle.

I giganti sembrano davvero reggere con forza e fermezza il peso dell’edificio mentre i loro muscoli esprimono tensione e i volti non tradiscono fatica.

Autore di tale maestosa meraviglia è stato lo scultore Vincenzo Michelangelo “Michele” Sansebastiano.

Il Palazzo dei Giganti, oltre che per la bellezza delle sue decorazioni e architetture, è anche ricordato per essere stato il primo edificio a Genova costruito con cemento armato.

La Grande Bellezza…

In copertina una delle quattro coppie di giganti. Foto di Bruno Evrinetti.

Madonna di Porta Aurea

La Madonna di Porta Aurea, oggi custodita presso il museo di Sant’Agostino, fu realizzata dal celebre scultore Giovanni Antonio Ponsonelli, (Carrara 1654 – Genova 1735).

“La Madonna della Misericordia nella sua originaria collocazione”.

Tale Madonna della Misericordia, vegliava sulla medievale Porta Aurea (XII secolo), detta anche “Porta di Piccapietra“, sita nell’omonima zona del quartiere di Pammatone, demolito nel 1959 nell’ambito della nuova scellerata urbanizzazione.

La Grande Bellezza…

Veduta al tempo di Napoleone

Il golfo è come sempre solcato dalle navi, i monti attorno sono brulli e disabitati, la Lanterna è al suo posto ma nel 1810 Genova faceva parte a tutti gli effetti dell’Impero napoleonico che durò fino al 1814.

In quell’anno Napoleone soppresse tutti gli ordini monastici e le congregazioni religiose nel dipartimento di Genova, degli Appennini, di Montenotte e delle Alpi Marittime.

L’architetto Andrea Tagliafico fu incaricato di progettare la costruzione, nel luogo dove sorgeva un tempo il convento di San Domenico (odierna piazza De Ferrari) di un nuovo teatro cittadino e riedificò il lazzaretto della Foce.

Nel frattempo in piazza dell’Acquaverde, in ossequio al nuovo regime, venne innalzata un’imponente statua dell’imperatore corso.

Sul promontorio di San Benigno Bonaparte aveva appena fatto erigere un palo del rudimentale telegrafo, strumento che utilizzava per essere informato in anticipo rispetto ai suoi nemici.

Leggenda narra che Napoleone appena giunto a Genova avesse chiesto se i genovesi rubassero?

Arguta e spiritosa fu la risposta: “buona parte si, ma tutti no”.

Ambroise Louis Garneray vista di parte Genova, 1810.

Portolano

Rarissima e minuziosa immagine di Genova nel 1489.

Dettaglio tratto dal Portolano di Albino de Canepa, cittadino genovese attivo alla fine del XV sec.

Da ‘n pòrto à l’atro o dexidëio o l’inscia
veie stramesuæ, bon vento a-o viægio,
e mi do mondo perso, onde m’inäio
con ciù me perdo, con ciù me gh’attreuvo.

De quello che son fæto m’invexendo:
de tutto quello che vorriæ conosce.
Fæta ‘na Zena, ‘nn’atra a l’é ch’a speta
d’ëse fondâ inti seunni e ‘nte memöie.

Lascia che a lontanansa a ne s’ingheugge
indòsso, comme craccia de sarmaxo,
no gh’é destin, no ghe saià retorno,
solo a mäveggia de chi se descreuve.

Da un porto all’altro il desiderio gonfia / vele smisurate, buon vento per il viaggio, // ed io, perso nel mondo, me ne incanto, / più mi ci perdo e più mi ci ritrovo. // Mi esalto per ciò di cui sono fatto, / che è tutto ciò che vorrei conoscere. / Fatta una Genova, un’altra aspetta / di essere fondata nei sogni e nelle memorie. // Lascia che la lontananza ci si attacchi / addosso, come crosta salmastra, / non c’è meta, non ci sarà ritorno, / solo la meraviglia di scoprirsi.

Il viaggio diviene, nei versi del Prof. Fiorenzo Toso liberamente ispirati dall’anonimato genovese, condizione esistenziale e significa conoscenza.

Quell’essere “per lo mondo sì desteixi” è occasione, come argutamente osservato dallo stesso esimio linguista, “di esperienze feconde e manifestazione di creatività, attraverso il mito fondativo di infinite città, non importa se reali, immaginate o ricordate”.

Via San Bernardo

Le prime notizie sul caruggio risalgono al 1345 quando la strada era chiamata dei “Salvaghi”.

Via San Bernardo assunse l’attuale intitolazione nel ‘600 per via del convento e chiesa, oggi scomparsi, che sorgevano all’angolo con Vico Vegetti al posto dell’edificio occupato dalle scuole.

La chiesa fu costruita sui resti di una precedente dimora nobiliare dei De Marini e nel 1627 divenne anche convento dei monaci Cistersensi Fogliensi.

Nel 1797 gli edifici religiosi vennero sconsacrati e dismessi per poi essere definitivamente demoliti nel 1849, al tempo della repressione piemontese dei bersaglieri del La Marmora.

Malinconico testimone di un tempo che fu è rimasto il campanile inglobato nelle case circostanti.

Di notte illuminato da un lampione il caruggio riposa mentre la pioggia che accarezza il selciato ammanta i colori ocra di una magica patina.

Le gocce di pioggia saltellano sul selciato per non bagnarsi“.


Cit. Roberto Gervaso storico e giornalista.

La Grande Bellezza…

Foto di Andrea Robbiano

Il Ponte di Carignano e la Madre di Dio

È forse l’immagine più famosa che ritrae la dimenticata e nostalgica bellezza di Via Madre di Dio sotto il Ponte di Carignano.

Qualche anno fa divenne la copertina di un divertente gioco da tavolo a tema storico intitolato “Zena 1814”. Tale erudito e piacevole passatempo è ambientato negli effimeri 8 mesi di indipendenza della Repubblica genovese compresi tra la caduta di Napoleone e il Congresso di Vienna (1814 – 1815) in seguito al quale Genova venne venduta dagli inglesi ai Savoia.

L’autore di questo quadro, il pittore olandese Pieter van Loon, immortala con dovizia di particolari una scena di vita quotidiana conferendole una straordinaria vivacità.

Ed è così che, con sapiente gioco di ombre e luci, di colori vividi alternati ad altri più tenui e di frizzante realismo, la strada si anima di una moltitudine di caratteristici personaggi che popolano botteghe ed osterie: marinai che giocano alla riffa, bambini che gironzolano per strada, garzoni e muli da soma che trasportano merci, una coppia a passeggio seguita da uno scolaro con i libri, popolane che chiacchierano tra di loro e con giovanotti, avvolte nei loro macramè.

A sinistra si vede un navigante appoggiato alla porta, forse in cerca di un ingaggio, che aspetta davanti agli uffici della Compagnia marittima di battelli a vapore – di cui si legge l’insegna – della linea Livorno Marseille.

A fianco un locale dalla cui sovrastante targa con la scritta “Stanza…” si deduce essere in affitto.

Vicino “Il Grande Albergo Bella…” supera il tendone di una bottega di legumi e cereali.

Al centro della strada si distinguono un gruppo di preti e un frate. Sul lato destro si notano una grande edicola votiva oggi scomparsa, una donna seduta sulla soglia di casa e la dicitura “Buon Vin ed a mangiare” che campeggia sulla sottostante osteria. Appesa alle corde una cesta si confonde fra i panni stesi.

Domina la scena il celebre ponte di Carignano voluto da Domenico Sauli per collegare, da un colle all’altro, la propria Basilica gentilizia di S. Maria Assunta (Carignano) con il cuore del centro storico (Sarzano), scavalcando l’impervio strapiombo di Via Madre di Dio.

L’imponente opera fu realizzata tra il 1718 e il 1724 dall’ingegnere francese Gerard de Langlade nell’ambito dei lavori di ricostruzione resisi necessari, ma iniziati solo qualche decennio, a causa dei bombardamenti del 1684 del re Sole.

Sullo sfondo i colori che si dissolvono con sapiente sfumatura nella prospettiva lasciano intendere una via assai trafficata e frequentata che restituisce al quartiere scomparso tutta la sua umana vitalità.

“Strada della Madre di Dio e Ponte di Carignan a Genova” 1847 olio su tela 61,5.x 90 cm. Pieter van Loon. Genova, Collezioni Banca Carige.

Il mozzicone del campanile di San Siro

Questo anonimo torrione ormai dimenticato ed inglobato fra le irriverenti vicine abitazioni è quel che rimane della dugentesca torre campanaria della chiesa di San Siro.

L’antico campanile della primitiva cattedrale cittadina, contemporaneo di quelli ancora esistenti di S. Maria delle Vigne e di S. Giovanni di Pre‘, nel 1904 fu abbattuto perché inclinato e pericolante.

Tale sciagurata ed affrettata decisione venne presa sull’onda emotiva generata appena due anni prima dal clamoroso crollo del campanile della Basilica di San Marco a Venezia.

La Grande Bellezza…

Foto di Leti Gagge.

Finestre murate


Al tempo della Repubblica Ligure nel 1798, il governo per rimpinguare le esangui casse statali, casse istituì una tassa dal titolo assai curioso e pretenzioso:

“Sussidio patriottico sulle finestre “. Un modo come un altro per ridistribuire la ricchezza in un sistema, quello democratico della Repubblica, che si sostituiva a quello dell’oligarchia patrizia dell’Ancien Régime.

Beffarda trovata quella del funzionario dell’erario che ha inventato – passatemi il gioco di parole – l’imposta sulle imposte.


In sostanza a chi possedeva case con più di cinque finestre, fu richiesto un contributo calcolato sulla base del numero delle aperture sui muri esterni.

La balzana – è il caso di dirlo – imposta non piacque ai nobili che risultarono essere ovviamente i più danneggiati.

Costoro decisero così, pur di non versare l’odioso obolo, di murare le finestre esistenti e di sostituirle con quelle finte.


Alla luce si rinuncia ma non al gusto estetico ed ecco che si incaricano gli artigiani di decorare quegli spazi con l’ingannevole tecnica del Trompe – l’Oeil che fa sembrare tridimensionali come sculture dei semplici disegni.

Con certosina perizia in un gioco di pennelli, di contrasti di luci e ombre, di prospettive e colori, gli artisti riuscirono così a dipingere illusoriamente quello che non c’era: persiane, vasi di fiori, marmi e capitelli si mostrano ancora oggi ai nostri occhi in un magico immaginario.

La Grande Bellezza.

In copertina finestre murate sul palazzo ad angolo fra Via San Lorenzo e Piazza della Raibetta sopra la macelleria Balleari.

In Vico Vegetti

Vico Vegetti si snoda in salita con il suo sinuoso percorso.

Pietra e mattonata rossa sono le tipiche caratteristiche della creuza genovese.

All’altezza del civ. n. 8 si nota un’arrugginita insegna, testimonianza di antichi artigiani, della Mutua Assistenza Lavoranti in legno.

Poco più sopra s’intravvede quel che resta della secentesca Madonna della Misericordia, un’edicola – purtroppo – priva della statua marmorea della Vergine, con il tabernacolo a tempietto in pietra nera.

La Grande Bellezza…

Foto di Leti Gagge.