“Vico Inferiore Testadoro”. Foto di Giorgio Corallo.
Nei documenti antichi è indicato come Testa Auri (conchiglia o testa d’oro) il cui toponimo, secondo alcune fonti non certificate, deriverebbe dalla presenza in loco di un’omonima locanda.
Anticamente il caruggio era noto come vico Testadoro. Mutò il nome per non confonderlo con l’omonimo vicolo che, all’inizio di via XXV Aprile, ospita la famosa trattoria dalla “Maria”.
Oggi non c’è stato un solo genovese che non abbia rivolto lo sguardo ai quattro punti cardinali per capire da dove provenisse quella specie di fumo che impediva la visibilità. Forse un incendio?
Niente puzza di bruciato quindi tale ipotesi non reggeva.
Poi dopo qualche momento di smarrimento si è capito trattarsi della caligo, ovvero quel raro fenomeno marinaro che, dall’incontro sotto costa di aria calda con la superficie fredda dell’acqua, produce nebbia. La foschia ha così dal mare lentamente ammantato la città fino a far scomparire – come per magia – persino la Lanterna.
Intanto senza il faro come riferimento le sirene delle spaesate navi urlano, segnalando la posizione, tutta la loro preoccupazione.
“Tetti di Genova avvolti nella caligo”. Foto di Gianni Cepollina.
“La nebbia arriva su zampine di gatto. S’accuccia e guarda la città e il porto sulle silenziose anche e poi se ne va via”.
“A street in Genoa” così è intitolato questo splendido dipinto in olio del pittore James Holland (1799-1870).
Nel 1851 infatti l’artista inglese soggiornò a Genova dove eseguì alcune delle sue opere più apprezzate:
“Chiesa di San Pietro della Porta in Piazza Banchi”. Immagine tratta da https://www.pittoriliguri.info/pittori-liguri/holland-james/
“Veduta della Foce” Immagine tratta da https://www.pittoriliguri.info/pittori-liguri/holland-james/
“Lavandaie presso il fossato di S. Ugo“. Immagine tratta da https://www.pittoriliguri.info/pittori-liguri/holland-james/
Tra queste quella che mi ha incuriosito maggiormente è la vivace rappresentazione di via della Maddalena.
“Veduta della Lanterna dalla Villa del Principe” Immagine tratta da https://www.pittoriliguri.info/pittori-liguri/holland-james
Lo si evince ingrandendo l’immagine sopra la targa del negozio dei cappelli dove è infatti appuntato “quartiere della Maddalena Genova”.
Anche se l’edicola sullo sfondo non corrisponde alla realtà (al suo posto oggi vi è quella di San Francesco da Paola) perchè l’originale settecentesca Madonna dell’Immacolata Concezione qui rappresentata è andata perduta, siamo probabilmente all’altezza della casa natale di Simone Boccanegra.
“Altra versione dello stesso scorcio”. Immagine tratta da https://www.pittoriliguri.info/pittori-liguri/holland-james/
Spettacolari i dettagli dove, tra sapienti giochi di luce e chiaro scuri assai verosimili, tipici dei caruggi, si muovono i protagonisti della scena: in primo piano sulla destra la figura seduta a terra accanto ad una botticella di legno sembra appisolata; al centro della mattonata una coppia in abiti signorili si sofferma ad ammirare le merci di una venditrice ambulante seduta sul ciglio; sull’altro lato cammina una signora con gonna rossa e scialle bianco sulle spalle; tra la folla s’intravvede un’altra donna con cappello bianco che avanza in direzione contraria; sullo sfondo s’intuiscono, sfumati in lontananza, gli altri personaggi che affollano il vicolo; la presenza del camallo che procede con un sacco sulle spalle conferisce dinamicità alla scena; parcheggiata su un lato una elegante portantina nera con finiture dorate accanto alla quale riposa assiso sopra un gradino un facchino. Chissà forse i suoi passeggeri sono gli eleganti signori di cui sopra o altri che aspetta escano dall’antistante negozio di cappelli?
Fuori dalla porta della bottega una donna vestita di scuro con velo bianco sembra discorrere con le fioraie che espongono le proprie mercanzie sul tavolino in primo piano.
James Holland con questo delizioso dipinto ci ha lasciato una splendida istantanea di una Genova che non c’è più e che nemmeno attraverso foto o cartoline antiche sarebbe stato possibile raccontare.
Qui la corporazione dei camalli vi collocò lo struggente Cristo ligneo di area renano-westfalica del 1340 circa. Oggi il crocifisso è conservato presso il Museo Sant’Agostino, Genova.
L’edificio in Salita Santa Caterina n. 4, noto come Palazzo Gio Batta Spinola, poi Agostino Airolo ha subito diversi passaggi di proprietà: Costa, Doria, Spinola, Franzoni e Tedeschi si sono succedute nel tempo.
Il palazzo venne costruito intorno al 1580 dagli eredi di Gio Batta ma, nella versione in cui lo possiamo ancora oggi ammirare, risale al 1798 anno delle più significative modifiche.
Il sobrio portale squadrato va di pari passo con l’essenziale atrio con scala loggiata con colonne doriche dove, sullo sfondo, protagonista assoluto è un ninfeo a grotta con un satiro.
Da qui si accede al sagrato di S. Agostino, l’inconfondibile chiesa a fasce bicrome che costituisce forse il più significativo esempio di gotico in città.
Sul portale a sesto acuto risalta la secentesca lunetta con l’affresco del santo di G. B. Merano.
Al centro della navata un grande oculo con ai lati due bifore. In cima sono posti tre calchi di statue, i cui originali trecenteschi sono conservati nell’omonimo museo: S. Agostino – appunto – San Pietro e una Madonna con Bambino.
Sulla sinistra nel 1701 venne fondato il teatro di S. Agostino che, fino alla costruzione del Carlo Felice oltre un secolo dopo, fu il principale teatro cittadino.
Qui nel 1795 si esibì per la prima volta in pubblico un musicista tredicenne che con il suo violino avrebbe stregato il mondo intero: Niccolò Paganini.
Successivamente divenne prima Teatro Nazionale, poi cinema Aliseo e dal 1986 Teatro della Tosse.
La direttrice, detta appunto stradone, per via delle sue ragguardevoli dimensioni, di S. Agostino venne aperta nel 1670 con lo scopo di collegare piazza Sarzano, a quel tempo la principale della città, con il palazzo Ducale.
Ben presto l’arteria divenne snodo di traffico e transito vitale per la zona e percorso obbligato e privilegiato per le seguitissime processioni delle Casacce a capo delle quali vi erano Vescovo e Doge insieme.
Ancora oggi percorrendolo non mancano le attrattive: partendo da Sarzano possiamo ammirare infatti la chiesa, il museo di S. Agostino e l’omonimo teatro, attuale teatro della Tosse; di fronte si stagliano le imponenti Mura del Barbarossa con lo spettacolare portone di accesso al Palazzo del Vescovo, odierna sede della facoltà di Architettura; in fondo infine si arriva allo scrigno di San Donato con il suo inconfondibile campanile.
L’indirizzo ufficiale di palazzo Gio. Batta Saluzzo corrisponde al civ. n. 7 di Via Chiabrera. In realtà l’edificio si trova nella piazzetta dei Giustiniani, di fronte al celebre omonimo palazzo di Marcantonio.
Nel palazzo costruito nel 1580 spettacolare è l’atrio con volte e colonne doriche che adornano lo scalone loggiato per due piani nobili.
La piccola edicola votiva rappresenta una statua della Madonna Incoronata che poggia su nubi da cui spuntano alcuni cherubini alati. Ai piedi della Vegine degli ex voto uno dei quali pende dalle sue mani.
Sullo sfondo s’intravede un minuscolo cortile con una grottesca di pietre e conchiglie con mascherone marmoreo.
Particolare poi, sul fastigio a riccioli e ghirlande di fiori e frutti, uno stemma nobiliare con l’aquila e una corona in ferro battuto.
No, non ci troviamo sui canali di Venezia ma in darsena, nel cuore antico del porto medievale della Superba.
Qui un tempo sorgeva la darsena vera e propria costruita dopo il 1284 con i proventi della vittoriosa battaglia della Meloria contro Pisa.
La darsena originaria (dall’arabo dār-ṣinā῾a “casa dell’ industria”, quindi “fabbrica” in genovese) era divisa in tre specchi d’acqua complementari: darsena delle barche, olio e vino destinata alle imbarcazioni di piccolo cabotaggio; darsena delle galere ricovero delle grandi navi mercantili e da guerra; arsenale spazio di costruzione e armamento delle galee da guerra.
Nel 1312 a sua protezione venne progettato un imponente sistema di fortificazioni che prevedeva l’erezione di mura maestose. Due poderosi torrioni ne delimitavano l’accesso.
Veduta dei Genova nel 1481 realizzata da Cristoforo Grassi nel 1597. Al centro del quadro custodito al Museo galata si riconoscono le mura e i poderosi torrioni dell’arsenale.
Per tutto il Medioevo il porto manterrà questo assetto polifunzionale e solo con la caduta della gloriosa Repubblica marinara nel 1797 la darsena verrà completamente militarizzata.
Nella seconda metà del 800 poi, durante il Regno Sardo, con il suo interramento si rinuncerà definitivamente alla vocazione militare dell’arsenale. Al suo posto verrà costruito un nuovo grande bacino di carenaggio maggiormente idoneo alla ricezione dei nuovi colossali bastimenti trans oceanici.
Alla fine dello stesso secolo il porto diviene proprietà comunale e assume la conformazione, con i suoi silos e magazzini, di emporio commerciale denominato Portofranco.
L’omonimo quartiere riveste oggi, grazie all’Acquario, al museo Galata e alla rivitalizzazione del Porto Antico, grande interesse e importanza in ambito turistico.
Non va tuttavia dimenticata, in virtù della presenza in loco della facoltà di Economia e Commercio, anche una significativa impronta di stampo culturale e universitario.
Un panoramico appartamento sui canali di Ponte Morosini era stato scelto negli anni ’90 da Fabrizio De Andre’ come “buen ritiro” e nido sul mare natio.